mercoledì 25 luglio 2012
È un falso dilemma quello che viene sollevato in queste ore tra l’eventualità di anticipare le elezioni in autunno o rinviare la verifica politica generale alla scadenza naturale della primavera del prossimo anno. Ciò che sta avvenendo in questi giorni dimostra in maniera fin troppo evidente che ai cosiddetti mercati, cioè alla speculazione internazionale, non importa un bel nulla degli equilibri interni di un determinato paese.
Certo, un quadro di stabilità destinato a durare nel tempo può favorire la credibilità e la fiducia degli investitori. Ma non è affatto determinante come vorrebbero far credere quanti sostengono che non si deve perdere altro tempo con il governo tecnico e che, per uscire dalla crisi, bisogna affrettarsi ad andare a votare in favore di un nuovo centrosinistra rappresentato dall’asse Bersani-Casini. Tanto più che non è affatto certo che una eventuale alleanza elettorale tra Pd e Udc avrebbe la possibilità di conquistare un numero di consensi tale da far scattare il premio di maggioranza previsto dal Porcellum per la coalizione vincente. Chi si basa sui sondaggi degli ultimi mesi per prevedere la certa vittoria dell’asse tra centristi e post-comunisti non sembra tenere in alcun conto non solo delle elezioni del ’94 ma anche di quelle del 2006. Nell’autunno del ’93, dopo le elezioni amministrative che avevano segnato una travolgente vittoria della sinistra, la vittoria della “gioiosa macchina da guerra” sembrava talmente inevitabile da apparire scontata. Si prevedevano venti anni di “occhettismo” ed, invece, scattarono i successivi venti anni di berlusconismo.
E più vicino ancora è l’insegnamento delle elezioni del 2006. Che vennero vinte dalla coalizione guidata da Romano Prodi. Ma solo per quarantamila voti di differenza e dopo che tutti i sondaggi fino ad una settimana prima del voto insistevano nell’attribuire all’Ulivo un vantaggio di oltre dieci punti sul centrodestra. Si può escludere che una campagna elettorale ben condotta da un redivivo Silvio Berlusconi possa riesca a far ripetere, se non il miracolo del ’94, almeno il prodigio del 2006? I fautori delle elezioni anticipate sanno di non poter ignorare questo interrogativo. Anche quelli che si dicono inorriditi del ritorno del Cavaliere o che irridono sull’anzianità e sulla impresentabilità del leader del centro destra sanno che la partita è ancora tutta da giocare. E non solo perché Berlusconi riesce a dare il meglio di se proprio nelle campagne elettorali.
Ma perché nella prossima partita elettorale a giocare non saranno più i soliti due contendenti ma figurerà anche un terzo incomodo che potrà risultare addirittura determinante. Una volta l’ago della bilancia si trovava sempre al centro dello schieramento politico. Ora bisogna abituarsi a pensare che l’ago, rappresentato dalla protesta impersonificata da Beppe Grillo, è collocato alla sinistra della sinistra. Chi sogna le elezioni anticipate per mandare Bersani a Palazzo Chigi e Casini al Quirinale prima del tempo farebbe bene a frenare gli entusiasmi. E a pensare che, se da qui ad aprile prossimo non si trova il modo di ridimensionare Grillo, Bersani e Casini non entrano nei Palazzi ma finiscono a casa.
di Arturo Diaconale