Caro Monti, statisti non si nasce

martedì 24 luglio 2012


Il primo a santificare Alcide De Gasperi è stato Indro Montanelli. La sua famosa frase secondo cui quando «De Gasperi ed il fido Andreotti entravano in chiesa, il primo parlava con Dio ed il secondo con il prete» ha fatto scuola. Ma si trattava di una santificazione fasulla.

Perché De Gasperi parlava sicuramente con Dio ma era assolutamente convinto che per continuare ad entrare in Chiesa da presidente del Consiglio e da leader della Dc doveva usare Andreotti per parlare con i preti e la famosa “legge truffa” (che poi era una semplice legge elettorale con premio di maggioranza) per continuare a conservare la maggioranza in Parlamento. La citazione di Mario Monti dell’aforisma attribuito a De Gasperi, dunque, fa parte di questo processo di santificazione fasullo aperto da Montanelli. Ma è anche un segno inequivocabile della singolare distorsione che le circostanze particolari con cui l’attuale presidente del Consiglio è diventato senatore a vita e capo del governo dalla sera alla mattina e senza il bisogno di una qualsiasi verifica elettorale, ha prodotto sullo stesso Monti.

La distorsione è l’idea che per essere statista non ci sia alcun bisogno di essere anche un politico. E che per pensare alle prossime generazioni non ci sia alcuna necessità di preoccuparsi dell’andamento delle prossime elezioni. In altri termini, la distorsione prodotta dalla sua storia personale è quella di pensare che per governare efficacemente un paese non ci sia alcun bisogno di affrontare e risolvere il problema del consenso. Si dirà che questo è il difetto di tutti i professori, di tutti gli accademici, di tutti i grandi tecnici. Di quelli che hanno una tale e così grande coscienza del proprio sapere e della propria scienza da considerare il problema del consenso nei confronti della propria persona e del proprio operato come un atto assolutamente dovuto.

Ma la consapevolezza che si tratti di una distorsione di tipo professionale non elimina la distorsione stessa. E, soprattutto, non cancella la preoccupazione provocata dalla constatazione che alla guida del governo ci ritroviamo con un personaggio che, in evidente buona fede, non solo pronuncia una frase che è una condanna implicita della moderna democrazia ma è anche un elemento negativo per il futuro del nostro paese. La conferma che Monti sia disponibile solo a fare lo statista senza sporcarsi le mani con la politica, infatti, non è un buon segnale.

Perché, alla vigilia di una campagna elettorale gravata dal tema della grande emergenza in cui versa la società italiana, ciò di cui si avverte maggiormente il bisogno è di qualcuno che, sulla base di una proposta politica efficace e convincente, crei le condizioni per condurre il paese fuori dalla crisi e diventare lo statista che lavora per le prossime generazioni. Monti ha fatto sapere di non voler e poter essere questo “qualcuno”. Può essere disponibile a diventare il successore di Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica. Può essere anche disposto a riassumere la guida di un governo tecnico per l’emergenza all’indomani del voto.

Ma l’idea di presentare agli italiani un programma di risanamento, chiedere alle forze politiche dell’attuale maggioranza di convergere su questo programma e sollecitare gli elettori a dare fiducia a questa proposta, non lo sfiora nemmeno. Ma si può uscire dalla crisi senza un adeguato e convinto consenso popolare? Monti può legittimamente rilevare che la risposta alla domanda non fa parte dei compiti e degli impegni di un governo tecnico come il suo. Ma dall’entrata a Palazzo Chigi ad oggi le condizioni sono cambiate. I fatti hanno dimostrato che i tecnici non sono riusciti ad invertire il corso della crisi. E che oggi l’esigenza primaria è di dare vita ad una fase in cui un governo autenticamente riformatore in senso liberale possa contare sul un ampio sostegno degli italiani.

Monti non è disponibile? Bene. Ma allora sfrutti almeno il suo ruolo attuale per indirizzare la politica nazionale verso uno sbocco positivo favorendo la formazione di uno schieramento di responsabili. Statisti si diventa. Non si nasce!


di Arturo Diaconale