Pdl e Pd in fuga dal bipolarismo

giovedì 19 luglio 2012


È imploso il sistema bipolare. Non è una buona notizia per chi ha creduto nella democrazia dell’alternanza. I principali partiti viaggiano verso consensi risibili per poter essere rappresentativi della maggioranza degli italiani: insieme raccolgono, stando ai sondaggi, poco più di un terzo dei voti. Ma ben peggiore è la loro crisi profonda dalla quale né il Pdl, né il Pd sembrano in grado di venire fuori in tempo utile per potersi proporre come soggetti capaci di di offrire un’accettabile governabilità. Non c’è bisogno, dunque, di rottamarli: lo hanno già fatto da soli costruendo meccani incomprensibili al loro interno dove guerreggiano elementi talmente dissimili da lasciare disorientati perfino i più tenaci assertori del pluralismo delle opinioni. A tutto c’è un limite, dicono i miti e pazienti elettori del Pdl e del Pd.

Di fronte ai disinvolti cambiamenti di strategia del Cavaliere ed al confusionismo organizzato di Bersani e soci, non si può che restare quantomeno attoniti considerando che tra otto mesi si vota per il rinnovo del Parlamento e le due compagini maggiori non hanno ancora trovato assetti definiti: navigano precariamente alla ricerca di un approdo che sembra sempre più lontano. In questa legislatura agonizzante era lecito attendersi il rafforzamento almeno strutturale del centrodestra e del centrosinistra attorno al Pdl ed al Pd che, per quanto nati da parallele “fusioni a freddo”, pure si proponevano di rappresentarsi come elementi di innovazione del sistema partitico tali da far sperare in una migliore e più efficace partecipazione dei cittadini alla vita politica. Come abbiamo potuto malinconicamente constatare, tanto l’uno che l’altro sono presto diventati nidi di vipere nei quali le guerricciole, pur fisiologiche in qualsivoglia aggregato umano, hanno preso in tempi brevi, le forme di vere e proprie faide tali da cancellare qualsiasi prospettiva programmatica sulla quale costruire i futuri consensi. Siamo ad un punto di non ritorno.

Entrambi i partiti, sedicenti bipolaristi, devono sperare in un quasi pareggio alle prossime elezioni per legittimare un governo politico ma guidato da un tecnico (ancora Monti con ogni probabilità) che gli dia il tempo per ristrutturarsi come forze politiche in grado di sostenere visioni alternative e candidarsi alla guida del paese. Non credo che questa lettura sia irrealistica a fronte di quanto sta avvenendo nel Pdl e nel Pd, partiti con tutta evidenza in fuga da se stessi, si potrebbe dire, e privi di linee politiche riconoscibili. Quel che sta accadendo attorno alla ridiscesa in campo di Berlusconi, al di là delle versioni edulcorate che ne danno i vertici pidiellini, assomiglia ad un vero e proprio psicodramma al centro del quale non vi è soltanto la figura di Angelino Alfano, seriamente colpito nel proprio orgoglio e nella sua immagine sfigurata dopo un anno di anomala segreteria, ma tutto un mondo che immaginava il Cavaliere impegnato in una reale opera di rinnovamento e generosamente al fianco di una classe dirigente giovane peraltro da lui stessa promossa. Classe dirigente che avrebbe dovuto avere il compito di rilanciare il centrodestra reinventandolo con nuove idee e programmi ben diversi da quelli evocati con la richiesta del ritorno allo “spirito del ‘94” per il semplice fatto che i tempi e la crisi epocale nella quale siamo immersi hanno mandato in soffitta perfino le suggestioni di quell’epoca. È avvenuto quel che sappiamo ed il futuro è quantomai incerto. Non mancheranno defezioni importanti, numerosi esponenti di primo piano del Pdl stanno preparandosi all’exit strategy, gli elettori sono frastornati, il territorio non è presidiato da nessuno posto che ognuno teme per le proprie pallide fortune.

E l’ombra della scissione da parte degli ex-An, più volte svillaneggiati da alcuni colonnelli berlusconiani, si allunga paurosamente sul Pdl. Dopo le dichiarazioni del Cavaliere al quotidiano tedesco “Bild”, niente sarà più come prima. Il Pd lo scorso fine settimana ha offerto il peggio di se stesso. Si è diviso praticamente su tutto. I personalismi hanno avuto la meglio sulle idee. Le cronache hanno doviziosamente riferito che tra esponenti del partito l’ostilità è arrivata al punto da negarsi il saluto. La riunione dell’assemblea nazionale, insomma, ha sancito che non solo l’amalgama, invocato tempo fa da D’Alema, non è riuscito, ma che le posizioni culturali e politiche presenti non sono compatibili e, dunque, in una situazione normale se ne trarrebbero le dovute conseguenze. Ma nulla accadrà. I dialoganti e gli intransigenti, i libertari e gli ortodossi, i centristi ed i radicali saranno costretti a convivere nella prospettiva di non far saltare tutto. Con quali esiti? Ecco, questa domanda attanaglia tanto il Pd che il Pdl. La risposta probabilmente verrà da sola. Anzi, sollecitata dagli elettori che sconfesseranno l’uno e l’altro sancendo la fine del timido ed impacciato bipolarismo che entrambi avevano tentato di interpretare. Dopo vent’anni di transizione, gabellata per Seconda Repubblica, ci tocca ricominciare. Ma quel che è peggio è che nessuno sa da dove.


di Gennaro Malgieri