domenica 15 luglio 2012
Il problema della crisi non è tecnico, ma politico. La questione da affrontare, infatti, non è soltanto economica o finanziaria, ma coinvolge in profondità la vita di tutti i giorni, il nostro modo di agire, di pensare, di relazionarci con gli altri. E’ una crisi che colpisce l’assetto stesso dei partiti politici, il loro modo di essere organizzati, la concezione che essi hanno della cosa pubblica e del ruolo che dovrebbero svolgere nella società. La politica, allora, può rinascere sul campo delle idee, del dialogo, della discussione.
La partitocrazia, invece, oggi più di ieri, sta cercando di trovare un modo per sopravvivere a se stessa. Ma la crisi che stiamo vivendo è crisi delle vecchie abitudini, delle certezze personali, dei nostri errori e di quelli degli altri, di come porre rimedio. E’ un cambiamento profondo che scuote le nostre presunzioni, le arroganze, la paura. E’ una crisi che riguarda il concetto stesso di democrazia, l’idea di partecipazione politica, il valore della rappresentanza. E’ una crisi che si fa sentire soprattutto sul piano istituzionale e sociale, ma che viene da una vera e propria crisi antropologica e culturale, civile e civica.
E’ una crisi politica che colpisce soprattutto il sistema della giustizia, lo “stato di diritto”, la legalità. Sull’esito di una tale trasformazione, tuttora in corso, non azzarderei previsioni: può andar bene e può andar male, può essere una crisi di crescita o un ennesimo rigurgito reazionario e illiberale. Di una cosa, però, sono sicuro: un problema di tale entità non si può risolvere limitandosi ad interventi tecnici o semplicemente adottando misure finanziarie, economiche e di bilancio. Siamo di fronte a qualcosa di più grande e di più profondo. Siamo di fronte a qualcosa che gli attuali partiti non hanno capito o non vogliono capire perché, altrimenti, dovrebbero anche ammettere il loro totale fallimento, salutare gli astanti e chiudere i battenti.
Qui non basta la soluzione tecnica. Lo vado ripetendo da mesi e mesi. Lo scrivo quando posso, dove posso. Lo ha detto anche Mario Monti il 4 novembre scorso, prima che venisse nominato senatore a vita e, quindi, ben prima di ricevere l’incarico dal Presidente Napolitano di formare il governo: “Il problema non è tecnico, ma di passare a un’altra politica”. Ma qual è questa politica “altra”? Quella dei tecnici? Quella della partitocrazia? Quella del Potere fine a se stesso? Quale?
Gli “Amici dell’Opinione” sono impegnati, ormai da tempo, proprio su tale fronte nel tentativo di rispondere a queste domande e con lo scopo di formare un campo liberal-democratico e riformatore che in Italia ancora non c’è. C’è, però, tutto un mondo da reinventare, da costruire, da immaginare. È in gioco il futuro. Infatti, sono i grandi temi della politica che ritornano a porsi come punti ineludibili e nevralgici per la risoluzione della crisi: la democrazia, la libertà, la giustizia, l’uguaglianza, la selezione della classe dirigente, la circolazione delle idee, il ruolo dei partiti, il riconoscimento dei meriti e la scelta dei metodi. Insomma, la crisi che stiamo vivendo è una crisi politica. Per risolverla, è necessario passare dalla partitocrazia alla politica, un’altra politica.
di Pier Paolo Segneri