Ridimensionare il perimetro dello stato

domenica 8 luglio 2012


Sono perfettamente d’accordo col direttore de “L’Opinione” quando sostiene la necessità, per un rinnovato fronte liberale, di porre al centro della sua azione politica la necessità di riformare il nostro impresentabile Stato assistenziale. Ovvero ciò che nel ‘94 molti di noi speravano che riuscisse a portare avanti la spinta riformatrice del primo Berlusconi. Ma per come poi sono andate le cose, con un centro-destra che, come spesso ha dichiarato Oscar Giannino, ha fatto esattamente l’opposto di quello che predicava, riorganizzare una alternativa credibile al dominio culturale di una democrazia collettivista fondata sulla spesa pubblica appare oggi molto difficile.

D’altro canto, al di là di di qualunque considerazione ideale, è pur vero che se non si riduce in modo piuttosto consistente il perimetro dello Stato, con tutte le sue insostenibili articolazioni burocratiche, il Paese sarà costretto a subìre un rovinoso default. Questo vuol dire per forza di cosa l’adozione di scelte molto impopolari, con tutto il corollario di dure proteste politico-sindacali che una tale svolta comporterebbe. Poichè per riequilibrare il rapporto tra la società spontanea e un sistema pubblico ipertrofico, divoratore di risorse, non basta certamente una semplice revisione della spesa, così come stanno tentando di realizzare i tecnici al governo. Occorre altresì eliminare molte competenze pubbliche, liberalizzando interi settori nei quali le parole mercato e concorrenza rappresentano da decenni un insuperabile tabù ideologico. Da questo punto di vista non bisogna ripetere l’errore di concentrarsi sull’abbattimento della pressione fiscale, facendo credere che ciò si realizzarebbe mantenendo inalterato l’attuale sistema di tutele con cui si promette di assistere i cittadini dalla culla alla tomba. L’idea di avere meno tasse con un livello di spesa pubblica da regime sovietico non può rappresentare una piattaforma politica degna di uno schieramento liberale.

Soprattutto se si ha la chiarezza e il coraggio politico di spiegare al popolo che la visione di uno Stato in funzione dei bisogni è fallita sotto ogni aspetto, allora forse è possibile chiedere una vasta adesione su un programma basato sui principi della libertà e della responsabilità individuale. Altrimenti si resta nell’attuale limbo, in cui l’unica differenza con la sinistra statalista è costituita da una sottile sfumatura di natura fiscale. Francamente troppo poco per riproporre al Paese quei sempre più necessari passi indietro da far compiere allo Stato leviatano.


di Claudio Romiti