Abbiamo davvero la memoria corta

sabato 23 giugno 2012


Siccome noi italiani abbiamo problemi con la memoria, ecco che ci sfugge il nesso distruttivo e nichilista fra il passato e il presente, fra il venti anni prima e il venti anni dopo.

Come si trattasse di un fiume fangoso che per inerzia va avanti senza sapere dove, la nostra storia sta sfilacciandosi in una tremenda sequenza di sue riletture che riescono spesso a  trasformarci in ciò che non siamo, in mostri alieni e feroci guidati da ottimati perfetti e giustamente spietati in nome di quella legge che, tuttavia, viene stirata e tirata pur di spiegare qualcosa di quelle riletture.

Cosicché, venti anni dopo quel biennio ’92-’93, la riproposizione di vicende analoghe cosituisce di nuovo un teatro dell’orrore e della crudeltà a base di arresti e di capri espiatori, mentre la linea della palma, ovvero la mafia secondo Sciascia, allunga la sua ombra su passato e presente illividendosi in un gioco tragico di losche trattative pur di fermare lo squalo sanguinario che aveva massacrato l’isola, i Dalla Chiesa, i Falcone, i Borsellino. E i Lima. Appunto, Lima, Dc, come boccone prelibato del pescecano insaziabile. Lima, la cui morte sarebbe come a dire: adesso tocca agli altri fratelli Dc. E la paura, il terrore, l’angoscia di finire dentro le fauci della bestia mafiosa e delle loro bombe, ecco da qui nascerebbe la trattativa. Ma come e con chi, quando, da chi?Spostandoci sul versante più pregnante, sembra però difficile venirne a capo, ove si tenga conto che lo stato tratta con tutti se lo fa per il bene di tutti: con Hitler, con Stalin, col Diavolo, coi terroristi, coi pirati, con la mafia. La politica, cioè lo stato, è l’unico responsabile a trattatare perchè legittimato dalla volontà popolare. Non così da noi. Da noi occorre il visto, il timbro, l’affidavit. E basta quello di un pm, sconosciuto eppure potente, anzi, onnipotente.

Del resto anche i costi della politica erano, sono, un problema della politica, eppure sono sempre i pm ad esserne delegati. Ieri con la partitocrazia, oggi con Lusi di cui si sapeva tutto e tutti sapevano tutto di quell’immondo sistema di rimborsi. Cosicché, da anni, il gioco della riscrittura storica è condotta in base a faldoni e sentenze, mentre la memoria gioca brutti scherzi e si sovrappongono i piani diversi, così diversi fra gli ipocriti “non ci sto” scalfariani e l’ultima orgogliosa impennata di un Quirinale che sembra dire: giù le mani dalla storia e, soprattutto, dalla politica. 

Giù le mani dall’ultimo baluardo di una malandatissima democrazia che è pur sempre la nostra e unica certezza. E lo può rimanere soltanto se la politica viene restaurata nella sua priorità e maestà. Così sembra parlare “re Giorgio” attirandosi non da ora le invettive e le contumelie del fangoso macchinario che sta da sempre dietro le guerre di bande - dentro la stessa magistratura così diversa da anni fa - che stanno trascinandoci verso una “no man’s land”. 

Re Giorgio questo lo sa. E sa pure come le differenze contino, fra passato e presente. Fra venti anni fa e venti anni dopo. La corrusca macchina da guerra del pool era unita e compatta col circuito mediatico, e colpiva sapendo chi colpire mentre le forche in piazza erano alzate e il cappio sventolava e le monetine tirate con rabbia feroce. E fuori dal Palazzo certi deputati minacciavano le retate e ranci in galera per il nemico senza neppure immaginare che, venti anni dopo, proprio in quel luogo, avrebbero assistito ad analoghe scene con loro presi in mezzo, con loro come fotocopia del Lusi da immolare. Al loro posto. Difetti della memoria, buchi neri dei ricordi. 

Allora le bande erano quelle dei corrotti sebbene selezionati e il capro espiatorio prescelto aveva una dimensione immensa, tragica, shakesperiana. E i garantisti come i radicali innalzavano i loro cuori pur di interdire quei massacri di legalità parlamentare. 

Quando, invece, oggi un Lusi viene mandato in galera anche da una Bonino (forse pensava che con lui dentro il mondo diventasse migliore) e dagli altri senatori, quasi tutti, e a voto palese perché la paura grillesca fa novanta e il capretto va dato in pasto al comico barracuda genovese prima che divori quelli votanti e no in Senato. E quei fuggitivi del Pdl, che, tornati a casa, si dovranno essere vergognati di quella fuga che prelude ad una più generale e ancor più invereconda fine. E dunque rimane “re Giorgio” a tenere fermo un principio, un punto, una luce, una speranza. Ma non facciamoci illusioni.


di Paolo Pillitteri