Rassemblement? Sì, ma di idee

venerdì 8 giugno 2012


Itempi per la riforma istituzionale ci sono tutti. Se ci fosse l'accordo tra i partiti il semipresidenzialismo con il doppio turno elettorale verrebbe approvato in tempo utile dal Parlamento. Ciò che manca è la volontà politica. Perché, a partire dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, la sinistra italiana è ancora pervasa dal pregiudizio antipresidenzialista che risale alla fine degli anni '50 e non darà mai il via libera alla proposta avanzata dal Pdl. Questa certezza condiziona in maniera determinante il futuro politico del paese. Fissa come postulato che si andrà a votare con l'attuale legge elettorale, al massimo innovata con una norma sul ridimensionamento delle liste bloccate e sulla reintroduzione limitata del voto di preferenza. E rende praticamente obbligata la strada della formazione di grandi coalizioni tese a conquistare il premio di maggioranza necessario per governare il paese assicurando, almeno sulla carta, un quadro di solida stabilità politica. In questa prospettiva è facile immaginare che sul versante di sinistra Pierluigi Bersani (a meno di non essere clamorosamente battuto da Matteo Renzi nelle primarie di partito) sarà costretto a mettere in piedi una coalizione ritagliata sulla famosa fotografia di Vasto. Che sul versante della destra Silvio Berlusconi, sia pure nelle vesti di "allenatore", cercherà di dare vita ad una coalizione alternativa. E che sul versante del centro Pierferdinando Casini o tenterà di vincere lo schema bipolare cercando di convincere Montezemolo, Passera o lo stesso Monti a dare vita ad un'area di centro in grado di sparigliare le carte o si accontenterà, come nel recente passato, ad occupare da solo una ristretta posizione centrista nella speranza di rientrare comunque in gioco in una legislatura che presumibilmente sarà ancora segnata dall'esigenza di una grande coalizione per l'emergenza anti-crisi. Tutto come prima, allora? Niente affatto. Perché le novità sono rappresentante da un lato dall'irruzione del grillismo e dall'altra dalla scomposizione del Pdl. Dei due fenomeni il più rilevante non è , come si potrebbe pensare a prima vista, la crescita del movimento di Beppe Grillo. Che potrà anche raggiungere il 20 per cento come indicano i sondaggi ma che, se rimarrà un fenomeno di semplice protesta, avrà lo stesso effetto politico dell'astensione: zero. Di maggiori effetti politici, invece, si preannuncia ciò che potrà capitare al Pdl. 

Perché le conseguenze del suo ricompattamento o della sua trasformazione incideranno pesantemente sul quadro politico della prossima legislatura. Ma quale sarà lo sbocco dell'attuale travaglio interno del partito fondato dal Cavaliere e guidato da Angelino Alfano? A Berlusconi vengono attribuiti a giorni alterni intenti assolutamente contrastanti. Una volta quello del ricompattamento del partito attuale, la volta dopo la sua scomposizione e la formazione di una nuova lista innovatrice e più strettamente berlusconiana. È probabile che nessuna di queste indiscrezioni sia vera. Ma il fatto stesso che girino con insistenza voci del genere e che dentro al Pdl si dia credito a simili ipotesi (la lettera di Renato Schifani ne è la riprova) dimostra che una qualche trasformazione è in atto e che difficilmente il partito andrà alle elezioni così come ha fatto dal '94 ad oggi. Il come sarà la vera novità politica del paese. Pdl rifondato e riformato? Lista berlusconiana e lista ex An più liste civiche o locali? Alleanza con la Lega al Nord e con i meridionalisti al Sud?

La risposta, sempre che si voti con il "Porcellum" sia pure riformato, è già scritta. Comunque servirà il rassemblement. Che se se però sarà formato da sigle vuote e da facce vecchie risulterà votato inevitabilmente alla sconfitta. Serve, allora, un rassemblement di idee: quella liberale, quella nazionale, quella federale. Con le idee si può ancora sperare di evitare di consegnare il paese al passato!


di Arturo Diaconale