La parata militare e la sobria ipocrisia

venerdì 1 giugno 2012


Ma che vuol dire che la parata militare del 2 giugno, festa della Repubblica, sarà «sobria»? Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che lo ha preannunciato in risposta a quanti chiedevano di annullarla in segno di lutto per i morti del terremoto in Emilia la sfilata di via del Fori Imperiali, non lo ha spiegato. Ed è francamente difficile immaginare quale forma possa mai assumere una parata militare «sobria». Ai soldati sarà vietato sorridere? Al pubblico di salutare e festeggiare i bersaglieri? O a tutti i partecipanti all'evento verrà avanzata la richiesta di prendere ad esempio il volto costantemente inespressivo, ma al tempo stesso perennemente mesto, del presidente del Consiglio Mario Monti per dare una dimostrazione collettiva di rigida sobrietà in omaggio alla tragedia? L'ironia può sembrare fuori luogo. Ma serve, proprio perché esagerata e forzata, ad indicare con estrema chiarezza un fenomeno che si sta manifestando proprio nella fase di estrema gravità e difficoltà in cui si trova il paese. 

Il fenomeno è quello della distanza che si va allargando in maniera sempre più evidente tra le istituzioni ed i cittadini a causa della ipocrisia della classe dirigente. Una parata rimane una parata. Non può essere «sobria» o sbracata, austera o carnascialesca. Nessuno avrebbe protestato se fosse stata abolita o rinviata, ad esempio, al prossimo 4 novembre, festa delle Forze Armate, in segno di lutto per i morti del terremoto emiliano. Ma nel momento in cui viene confermata per non rinunciare a ribadire la presenza e l'autorità dello stato, non c'è alcun bisogno di ammantarla con un velo di ipocrisia preannunciando che sarà «sobria». Se la scelta è una conferma per marcare la presenza della Repubblica, allora bisogna avere il coraggio di insistere sul significato simbolico di un avvenimento che, da sempre ed in tutte le culture del pianeta, attraverso l'esibizione della forza militare punta a fornire una immagine tangibile dell'autorità e della sovranità dello stato. 

L'ipocrisia aumenta e dilata e dismisura la distanza tra istituzioni e cittadini. Questi ultimi non avrebbero avuto alcuna difficoltà ad accettare che la giornata di lutto nazionale fosse stata fissata il 2 giugno invece che due giorni dopo. Anzi, visto che la tragedia emiliana cade in un momento particolarmente difficile della vita di tutto il paese con la crisi economica sempre più incalzante ed a cui non si riesce ancora a porre alcun tipo di freno, fissare il lutto nazionale nel giorno dell'anniversario della nascita della Repubblica avrebbe potuto assumere il significato di una sorta di appello solenne agli italiani a reagire con compattezza, solidarietà ed energia alle grandi difficoltà dell'ora.

Invece si è scelta una strada diversa. Che non è stata solo quella della conferma della parata nella data consueta e nella scelta di fissare il lutto nazionale in una data successiva, ma è stata anche quella di cercare di scaricare lo stato di tensione che crisi e terremoti hanno provocato nel paese da un lato su una sfilata tanto «sobria» quanto inutile e dall'altro sulla solita ricerca delle responsabilità giudiziarie della tragedia. 

Giorgio Napolitano ha denunciato il mancato rispetto della normativa antisismica nella costrizione delle fabbriche cadute. Il ministro Elsa Fornero ha stabilito che «altrove non succede». I media di regime si sono immediatamente allineati dimenticando che il timore dominante in Emilia non era quello di terremoti ma quello delle esondazioni e delle alluvioni del Po. Ma, soprattutto, trasformando la caccia alle responsabilità giudiziarie in una sorta di cortina fumogena destinata a nascondere ipocritamente che l'esigenza immediata dei terremotati e degli italiani non è ascoltare il tintinnio delle manette ma l'annuncio di misure concrete per la ricostruzione e l'uscita dalla crisi. L'ipocrisia in contrapposizione alla concretezza. Ed il divario, già grande, continua ad allargarsi sempre di più. Fino a quando?


di Arturo Diaconale