Teoremi e grandi complotti

martedì 22 maggio 2012


Una foto ha fatto in questi giorni il giro del mondo. Si tratta dell'incontro di Camp David dove i grandi della terra si sono riuniti. Non è del summit che vogliamo parlare: uno dei tanti, dei troppi che lascia il tempo che trova in questi tempi in cui i summit veri, quelli che contano, li fanno i detentori del potere reale, ovvero la Bce, l'Fmi, la Federal Reserve ecc. No, quello che ci ha colpiti, nella foto e nei video, erano gli ospiti di Obama rigorosamente senza cravatta.

Chi non se l'era tolta, Hollande, è stato cortesemente pregato di lasciarla a casa per le prossime foto di gruppo. E infatti, in una di queste, gli otto o nove o dieci o venti grandi erano tutti molto, molto casual, very informal, in golfini colorati (Monti), in  maniche di camicia. Peccato che a nessuno di loro sia venuto in mente di andare con la felpa, così, tanto per fare il verso o la parodia all'ipermiliardario, giovanissimo padrone di Facebook. Forse la più bella delle foto, quella che comunque ha risollevato l'attenzione di per sé moscia per questi meeting, era quella che raffigurava alcuni di loro, metti la Merkel e Cameron ad assistere alla partita fra Bayern e Chelsea con i rispettivi tifosi accanitamente partecipativi alle fasi decisive dei rigori.

Che, a proposito proprio di rigore, non hanno portato buono alla Merkel e alla sua squadra. Era come una metafora, una narrazione "politica" di un fatto calcistico che ha riportato fra i comuni mortali una rappresentanza politica dallo scarsissimo indice di gradimento. Eppure, l'immagine deconcentrata, sportivamente allegra e così vicina alla gente comunqe, è servita più di certi documenti finali, in genere futili. Mentre i grandi tifavano per una partita di calcio, il nostro paese era tuffato in ben altre diatribe.

Parliamo di diatribe, e non di tragedie le quali, pure, sono sotto gli occhi esterrefatti degli italiani, di Brindisi e dell'Emilia Romagna. Diatribe nate dalla prima delle due tragedie con in primo piano lo scontro, invero tragico, fra magistrati e fra mass media. Si è in attesa che anche sul terremoto emiliano intervenga qualche iniziativa giudiziaria a proposito di mancate previsioni terremotali (è successo, a L'Aquila).Seguirà dibattito televisivo. Lo scontro brindisino rientra nella più tradizionale delle italiche liturgie che ci vorrebbero rappresentare un paese sempre sull'orlo di collassare per via di un endemico male, di una malattia mortale.

Cosicché la bomba che ha ucciso la povera ragazza a Brindisi è stata fin da subito catalogata, da magistrati opportunamenti sollecitati dalle sponde mediatiche, nelle categorie "bomba di mafia", "bomba che destabilizza", "bomba antidemocratica". E questo è sicuramente comprensibile dati gli indizi: il ventennale della morte di Falcone, la scuola intitolata alla moglie, la tappa a Brindisi della marcia antimafia, ecc. Meno comprensibile è che l'insistenza sulla bomba mafiosa vada oltre gli indizi - che stanno ora portando in ben altre direzioni -e si fondi su convinzioni a loro volta derivanti da una sorta di teoria secondo cui un complesso di mafie e di forze oscure criminali con immancabili pezzi di stato sia sempre in attività,con bombe e attentati e depistaggi per destabilizzare il paese, bloccare la democrazia, fermare le forze sane, minacciare le libere istituzioni "nate dalle Resistenza".

Bastava vedere  già i primi Tg3 e poi l'Annunziata domenicale e poi certi speciali de La7 per capire che per suffragare queste tesi si chiamavano in campo magistrati all'uopo, uomini di giustizia, pubblici ministeri che poggiano spesso le loro indagini su similari teoremi, salvo magari essere smentiti da risultanze processuali. Non c'è niente da fare, siamo da decenni immersi, quasi sommersi dai teoremi che, se seguiti nelle indagini, sono i più indicati per farle fallire. Di un bel tacer non fu mai detto, a proposito di una giustizia che ha sempre in mano il microfono. Anche se un magistrato ha detto l'unica cosa sacrosannta: aver fatto vedere la foto del bombarolo è stato un errore. Di chi?


di Paolo Pillitteri