martedì 22 maggio 2012
Per tutta la prima metà del Novecento le bombe erano, per
definizione, solo anarchiche. L'attentato che venne compiuto nel
1919 al teatro Diana di Milano e che causò 19 morti venne
naturalmente attribuito agli anarchici anche se nessuno riuscì mai
ad individuare gli autori. Lo stesso schema venne seguito
inizialmente cinquant'anni più tardi, quando l'avvio delle indagini
sulla strage di piazza Fontana s'indirizzò sempre sugli
anarchici.
Da quel momento, però, la definizione cambiò: le bombe diventarono
sempre e comunque di matrice fascista per tutti i vent'anni
successivi. E, come per quelle precedenti attribuite agli anarchici
non c'erano stati dubbi, perplessità, ipotesi d'indagine diverse ed
alternative, anche per le bombe fasciste, a dispetto di processi
finiti sempre senza colpevoli (tranne quello per la strage di
Bologna su cui, però, grava l'ombra di un errore o di una ben
riuscita mistificazione) non ci fu mai alcuna deroga allo schema di
partenza.
Oggi, di fronte all'orrendo attentato di Brindisi, nel momento in
cui ci si interroga sulla matrice dell'atto criminale, si scopre
che lo schema in auge, esauriti quelli anarchici e quelli fascisti,
è da vent'anni lo stesso. Cioè quello iniziato con l'assassinio di
Falcone e Borsellino e con lo stragismo dei primi anni '90 e che è
segnato dal marchio indelebile della mafia. Qualcuno, per la
verità, s'interroga timidamente sul perché la criminalità
organizzata voglia gettare un paese, già segnato dalle tensioni
provocate dalla crisi economica e palesemente privo di una classe
dirigente in grado di ricompattarlo e guidarlo, nel caos più
totale. Ma questi timidi interrogativi vengono facilmente spazzati
via dallo tsunami dei luoghi comuni dei vecchi pistaroli senza
fantasia e di chi, come sempre, cerca di cavalcare la reazione
popolare all'orrore per consolidare il proprio sistema di potere.
Ma regge lo schema mafioso dopo che per vent'anni, così come quello
anarchico e quello fascista, non è servito ad accertare una qualche
solida verità sui misteri italiani a partire dal nome degli
assassini di Falcone e Borsellino? La risposta è scontata
come dimostrano i primi risultati delle indagini a Brindisi.
Lo schema fa acqua da tutte le parti. Può servire strumentalmente
a ricompattare una parte del paese. Come quello anarchico favorì lo
sbocco autoritario nel '22 e quello fascista la solidarietà
nazionale degli anni '70, potrebbe spingere in direzione di un
fronte antimafia ispirato ad un generico giustizialismo privo di
una reale prospettiva politica. Ma non serve a rispondere
alla domanda di fondo. Chi e perché tenta di destabilizzare
l'Italia? Forse è il caso di cambiare schema. Magari non
completamente. Magari solo in parte. Considerando mafia e
criminalità organizzata come strumenti ottusi e prezzolati di
burattinai più raffinati. E, come ipotizzava Giovanni Falcone nel
'91, incominciare a ragionare ed indagare sulla pista dei servizi
segreti stranieri che, allora come oggi, hanno interesse a gettare
il paese nel caos per conseguire i loro obbiettivi di dominio
economico o politico.
Lo schema che si propone, in sostanza, non è quello fantasioso di
una Spectre non meglio identificata. È quello della sovranità
nazionale di un paese che per la sua collocazione geopolitica
al centro del Mediterraneo è soggetta (non da oggi, da sempre) a
tentativi di condizionamento, di occupazione e di sfruttamento di
ogni genere. Nessuno, ovviamente, ha la verità in tasca. Ma forse è
il caso di incominciare a cercare la verità fuori dai vecchi
schemi. Con meno conformismo e più libertà mentale. Non solo per
l'attentato di Brindisi ma anche per i tanti misteri passati mai
risolti.
di Arturo Diaconale