I danni collaterali del governo tecnico

mercoledì 16 maggio 2012


Mario Monti si appresta a ribadire la piena solidarietà personale e del governo nei confronti di Attilio Befera. Per scongiurare il pericolo che il responsabile dell'Agenzia delle Entrate e di Equitalia ed i funzionari ed i dipendenti delle strutture che hanno il compito di raccogliere e recuperare le tasse diventino il facile parafulmine di una società che soffre gli effetti della recessione e della stretta fiscale. 

Ma accanto a questa manifestazione di solidarietà il presidente del Consiglio dovrebbe anche compiere una pubblica autocritica per l'errore compito dal governo (e non dalle strutture esattoriali che eseguono ma non decidono le scelte di fondo) nell'impostare la campagna del "salva-Italia").

L'errore è consistito nell'avviare una azione di risanamento tutta incentrata sull'aumento della pressione fiscale (salita dal 42 al 45 per cento ufficiale ma oltre il 55 per cento reale) con un eccesso di drammatizzazione della situazione del paese, resa a rendere giustificabile agli occhi dell'opinione pubblica l'intensificazione dell'azione di riscossione e la massima spettacolarizzazione delle azione repressive nei confronti di intere categorie considerate aprioristicamente colpevoli di vocazione all'evasione.

La drammatizzazione e le azioni spettacolari, giustificate con la necessità di rieducare con il bastone delle multe, delle sanzioni, della gogna pubblica e della minaccia di galera, hanno sicuramente favorito un recupero del gettito. Ma hanno prodotto, come effetti collaterali, due fenomeni precisi. Da un lato la diffusione di una sorta di depressione generalizzata acuita dal pessimismo diffuso a piene mani (sia pure a fini di bene pubblico) delle autorità di governo, che ha accentuato i fenomeni depressivi individuali fino a provocare l'ondata di suicidi che riempe le cronache dei giornali. Dall'altro la reazione violenta di chi ha avvertito come ingiusta ed eccessiva l'azione di rieducazione, senza carota e con il solo bastone, che il governo ha lanciato e l'Agenzia delle Entrate ed Equitalia hanno portato avanti in maniera fin troppo convinta ed entusiastica.

Qualche volta ripercorrere la storia, oltre che fare i conti dell'economia, farebbe bene. Monti non può aver dimenticato che nei Seicento, come ha raccontato Alessandro Manzoni, l'ira popolare per la crisi che colpiva i più poveri si manifestava con gli assalti ai forni.

Anche allora le "grida" non servivano a nulla.Tranne che irritare ulteriormente i disperati ed i tartassati. E già che ci si trova il presidente del Consiglio non farebbe male a ricordare che nell'Ottocento ogni forma di "jaquerie" e di rivolta popolare si risolveva nell'assalto ai municipi e del rogo dei registri che servivano per l'esazione della tasse.

Perché, allora, insieme a qualche misura specifica tesa a ridurre le sanzioni eccessive ed alla giusta solidarietà nei confronti di chi è chiamato a compiere un compito non agevole e non popolare, il governo non compie una coraggiosa autocritica per non aver minimamente considerato che i danni collaterali delle proprie azioni di aumento della pressione fiscale e di didattica di stampo dirigista ed autoritario avrebbero avuto l'effetto della benzina lanciata sul fuoco del ribellismo?

Un atto di coraggiosa e sincera autocritica può avere effetti mille volte più positivi di una semplice solidarietà a Befera. Per evitarla non serve, come qualcuno nel governo tende a fare, ricordare che  il dirigismo autoritario ha radici nell'operato non solo del governo Prodi e nell'azione di Vincenzo Visco ma nel successivo governo Berlusconi e nel comportamento di Tremonti. Sapere che Visco e Tremonti erano della stessa pasta ed hanno compiuto degli errori non giustifica quelli ripetuti oggi. Anzi, li aggrava.


di Arturo Diaconale