domenica 15 aprile 2012
C'è qualcosa che non torna in ciò che sta travolgendo la Lega. E non stiamo parlando né della tempistica dell'indagine, né dei rimborsi elettorali ai partiti. Si tratta di una cosa marginale alla vicenda, ma che riporta in primo piano un problema su cui si è discusso e su cui non si smetterà mai di discutere: le quote rosa. Tema talmente caldo che spacca addirittura gli stessi movimenti femministi. La storia parte dalla richiesta di dimissioni di Rosy Mauro che ha fatto scattare la difesa d'ufficio di alcune colleghe non di partito, bensì di sesso. Flavia Perina di Fli, Paola Concia del Pd e Margherita Boniver del Pdl, infatti, con toni e parole diverse, hanno espresso lo stesso concetto: voi leghisti chiedete le dimissioni della Mauro solo perché è una donna.
E già, perché qui non si mette in discussione la richiesta di dimissioni da vice presidente del Senato, richiesta ribadita a gran voce da un'altra donna, Anna Finocchiaro, qui si parla dell'espulsione della Mauro dalla Lega. Perché la Rosy sarebbe stata «bruciata sul rogo come le fattucchiere di Salem», perché la Rosy «è un capro espiatorio di capetti assetati di sangue» e «dietro la richiesta di dimissioni ci sono accenti maschilisti». Insomma, i leghisti xenofobi e razzisti, ora sono anche fallocrati.
Trattasi, francamente, di tesi un po' curiosa. Fermo restando che la Mauro - fino a prova contraria - è innocente, ma se dentro la Lega decidono di espellerla dal partito è affar loro. Forse qualcuno ha detto che cacciano Belsito perché è un uomo? No, ed è questo il vero problema. Perché dietro questa dietrologia da complotto anti femminile si nasconde una sorta di auto-ghettizzazione che ha come risultato l'inverso di quello sperato: si accentua il maschilismo e la presunta inferiorità del gentil sesso. Approvando una legge sulle quote rosa, non si fa altro che certificare la debolezza delle donne che, come una specie rara, vanno protette. Se una donna ha delle qualità viene eletta in Parlamento, in un Cda e in un qualunque posto di comando. Se non ha delle qualità, non viene eletta. E lo stesso discorso vale per gli uomini. Esistono forse quote per gli uomini senza capelli o per quelli un po' grassocci?
L'unico risultato di questa caccia alla discriminazione a tutti i costi, è quello di aver trasformato le cosiddette categorie più deboli in fenomeni da baraccone che i politici espongono a loro piacimento evidenziando appena possono che le loro liste elettorali sono piene di donne e che, in caso di vittoria, molte di loro avranno dei ruoli chiave.Salvo poi, se si tratta di belle figliuole, finire sulla gogna perché avrebbero "conquistato" il posto non per le loro qualità, ma per la loro bellezza.
Messa così, sembra un cane che si morde la coda, e quindi l'unica soluzione è smetterla di rivendicare e sbandierare una diversità che è sotto gli occhi di tutti, ma non per questo deve essere motivo di differenziazione e livello qualitativo. Finché le donne pretenderanno spazi che ritengono usurpati dall'arroganza maschile, ogni volta che conquisteranno uno di quegli spazi si vedranno rinfacciato il fatto che sono lì solo in quanto donne e non per i loro indubbi meriti.
Certo, può accadere, soprattutto in politica (anche se non sembra il caso delle Perina, della Concia e della Boniver), che si facciano battaglie a favore delle fasce più deboli (anche se poi le donne proprio non sembrano una categoria bisognosa di protezione) solo per un briciolo di pubblicità in più, ma questo è un altro discorso. Qui entriamo in un mondo becero dove le liste elettorali si fanno col bilancino, con un numero di donne che non deve essere inferiore (ma nemmeno troppo superiore) a quello del tuo avversario e, magari, con un gay, un disabile o un precario da infilare all'ultimo momento. Un mondo tanto becero, da apparire reale.
di Francesco Blasilli