Il governo tecnico non serve

giovedì 12 aprile 2012


Mario Monti non ha tutti i torti quando se la prende con Emma Marcegaglia e l'accusa di aver offerto il fianco, con le sue critiche dell'ultima ora alla riforma del lavoro, alla ripresa delle ondate speculative che hanno riportato lo spread oltre la quota quattrocento. Il presidente del Consiglio contesta l'atteggiamento ondivago tenuto dalla presidente uscente di Confindustria. Che prima ha sostenuto acriticamente la riforma della Fornero. E poi, sulla spinta delle proteste della base degli industriali preoccupati per i cedimenti del governo alle pressioni dei sindacati e del Pd sulle modifiche all'art. 18, ha mutato di colpo linea lanciando quelle critiche al compromesso raggiunto tra governo, partiti e sindacati sulla riforma che, a detta di Monti, avrebbero suscitato la ripresa della sfiducia dei mercati nei confronti dell'Italia.  

Il presidente del Consiglio ha sicuramente ragione quando rileva che il voltafaccia di Confindustria abbia contribuito, insieme alle preoccupazioni per l'economia spagnola e degli altri stati deboli dell'Europa, a risvegliare la speculazione internazionale. Ma Monti non può non tenere conto che la Marcegaglia avrà pure la tentazione di sfruttare l'ultimo mese di presidenza confindustriale per preparare un suo eventuale ingresso in politica, ma non esprime una posizione personale ma quella di una intera categoria. Che non può non registrare negativamente come i cedimenti del governo alle pressioni della sinistra politica e sociale abbiano trasformato quella che doveva essere la "madre di tutte le riforme" in una riformetta gattopardesca, che non solo non introduce novità di rilievo, ma sembra fatta apposta per confermare e consolidare le rigidità del passato.

Nessuno dubita che Monti sia stato costretto a subire le imposizioni conservatrici dei sindacati e del Pd. Poteva forse correre il rischio di provocare una crisi di governo in nome di una riforma che avrebbe dovuto correggere le storture di un mercato del lavoro in cui la sostanziale impossibilità di licenziare si traduce automaticamente in rifiuto di assumere? In nome della sopravvivenza del proprio esecutivo il presidente del consiglio ha accettato il compromesso al ribasso sulla riforma. Ed ora paga il prezzo di questa sua scelta. Che è quello di una delusione degli imprenditori italiani che fatalmente innesca una nuova ondata di sfiducia da parte dei mercati internazionali.

Il governo, dunque, è salvo. Ma il paese torna di nuovo nel mirino dei speculatori. Che se ne infischiano dell'autorevolezza personale del presidente del Consiglio e del fatto che oggi gode del consenso della Cgil e del Pd ed incominciano a temere che l'Italia, condizionata da una sinistra politica e sociale troppo conservatrice, non ce la farà a superare indenne la crisi.

Poteva Monti comportarsi altrimenti? Secondo la tradizionale logica politica, quella che privilegia l'interesse "particulare" (personale , di partito, di gruppo) a quello generale , sicuramente no. Ma la sua scelta politica del " primum vivere " è in contraddizione con il mandato di guidare un governo tecnico ( e non politico) per l'emergenza. E, soprattutto, suscita una forte preoccupazione per il futuro a breve del paese. Se anche un esecutivo privo della necessità di badare al consenso elettorale e provvisto di ogni genere di benedizione (da quella del Quirinale a quella di tutti i "poteri forti") dimostra di non essere in grado di cambiare passo rispetto a tutti gli altri governi politici che lo hanno preceduto, vuol dire che la " malattia" è irreversibile . E che anche i Monti, i Passera, le Fornero non servono a nulla.


di Arturo Diaconale