Il mostro di Tolosa e i nazi dell'Illinois

domenica 8 aprile 2012


Il più grande nemico del popolo ebraico, oggi, è l'incomprensibile miopia nel non voler riconoscere quelle che sono le vere minacce, né dar loro il proprio nome. Una miopia eredità dell'opinione pubblica benpensante, sempre più pronta a voltare le spalle o tapparsi gli occhi di fronte alla realtà, quando questa risulta particolarmente sconveniente.

Lo abbiamo visto in occasione della strage di Tolosa, quando il mostro massacratore di bambini ha trovato spazio in tutta la sua ferocia sulle prime pagine dei giornali solo fintantoché si pensava appartenesse a qualche frangia dell'estrema destra neonazista. Scomparendo poi, con gran copia di imbarazzo, quando si è rivelato essere invece "soltanto" un terrorista islamico deciso a contribuire in prima persona per cancellare il popolo d'Israele dalla faccia della terra. Lo si era visto anche pochi giorni prima nel peloso politically correct del New York Times, felice di accogliere a tutta pagina la campagna di un'associazione anticattolica contro l'oscurantismo e la misoginia della Chiesa di Roma, ma meschino nel respingere al mittente la medesima campagna rivolta da un'altra associazione contro lo stesso oscurantismo e la stessa misoginia predicati però dall'Islam. 

I ridicoli "nazisti dell'Illinois" caricaturalmente sbeffeggiati da John Belushi in "The Blues Brothers" non costituiscono una minaccia per stato di Israele. Né lo sono tutti quei movimentucoli che si ritengono più seri e credibili soltanto perché non calzano brache alla zuava e camicie color kaki. Peccato però non si possa dire lo stesso per i manifesti di "partiti politici" come Hezbollah e Hamas, democraticamente eletti e sostenuti dalla popolazione del Libano meridionale e dai palestinesi, e per tanto riveriti e omaggiati dalla comunità internazionale nel loro ruolo di "preziosi interlocutori politici". Nessun politico che non fosse così pazzo da voler distruggere in un solo momento la propria carriera sgomiterebbe mai per sedere allo stesso tavolo con gli ignoti redattori di "Holy War", il sito web antisemita salito agli onori delle cronache per la pubblicazione di vere e proprie liste di proscrizione con i nomi di importanti esponenti della società di fede ebraica. Eppure quasi nessuno si fa problemi a dialogare con chi considera l'uccidere un ebreo un gesto meritevole del paradiso.

I gruppi e gruppuscoli che ancora si ispirano all'iconografia nazifascista sono per lo più espressione di un disagio giovanile che si esprime nella ricerca di un "branco" dall'aria forte e spavalda nel quale immergersi e sentirsi meno sperduti. La svastica o il saluto romano diventano il surrogato di quell'autostima che la disoccupazione seguita alla bassa scolarizzazione e alla mancanza di prospettive hanno poco alla volte schiacciato e ridotto in polvere. Talmente deboli nel numero e nelle idee da non riuscire spesso nemmeno a sopravvivere se non mescolandosi a qualche falange ultras. Spesso predicano e diffondono l'ideologia della violenza, è vero. La mettono anche in pratica, nella verbalità degli slogan o nelle risse tra fazioni opposte. Ma ritenere che siano loro la minaccia principale al diritto di esistere di Israele, o peggio ancora al diritto di professare liberamente la propria religione, è anacronistico.

Fa riflettere amaramente come anche per l'Unione dei Giovani Ebrei Italiani, in una classifica della pericolosità dei gruppi e dei movimenti che predicano e praticano l'odio antiebraico, i "nazisti dell'Illinois" siano sempre in prima fila. E solo molto dopo compaiano invece l'integralista islamico arrestato a Milano perché accusato di progettare un sanguinoso attentato contro la sinagoga cittadina. O ancora i siti web dell'antagonismo complottista di ultrasinistra, che ieri parlavano di complotto mondiale ebraico e addossavano agli agenti del Mossad l'attentato alle Torri Gemelle, e oggi additano la "cricca" dei ricchi banchieri e finanzieri ebrei come responsabili della crisi economica e della disoccupazione. 

Il vero nemico, oggi, al "Sieg Heil" preferisce "Allah-u-Akhbar". Ma se la paura della realtà contagia anche le giovani generazioni, siamo ben lungi dal poterla guarire. 


di Luca Pautasso