giovedì 5 aprile 2012
Per ironia della sorte, venti anni dopo tocca alla Lega fare la stessa fine del Psi. Con Umberto Bossi nella parte di Bettino Craxi travolto dai "mariuoli" che mettono in luce il sistema di finanziamento illecito dei partiti. E con Roberto Maroni che, nelle parti di Claudio Martelli, vuole ridare l'onore ai leghisti senza rendersi conto che la partita è ormai finita. Non solo e non tanto per gli scandali veri o presunti della gestione privatistica del finanziamento pubblico. Ma perché la fase in cui il Carroccio è stato il Ghino di Tacco della politica italiana segnata dal bipolarismo delle coalizioni è ormai definitivamente tramontata.
La crisi della Lega sembra allora fatta apposta per dare nuovo impulso alla riforma del sistema elettorale concordata da Pdl, Pd e Udc. Quella riforma che dovrebbe introdurre una sorta di sistema proporzionale alla tedesca in cui vi sia un forte sbarramento per eliminare l'eccesso di frammentazione ed un premio di maggioranza a vantaggio dei due partiti maggiori per passare dal bipolarismo di coalizione al bipolarismo di partito.
L'uragano giudiziario sopra la Lega, infatti, produce come effetto collaterale la fine dell'ipotesi di potere mantenere il vecchio bipolarismo attraverso la riesumazione del passato "asse del Nord" tra Pdl e Lega. E l'automatica conversione anche dei dirigenti pidiellini più ostili al ritorno al sistema proporzionale al nuovo modello di sistema elettorale basato non sul bipartitismo ma sul doppio premio di maggioranza per i due partiti maggiori.
Ma sbaglia chi pensa che sia sufficiente ridisegnare il sistema elettorale per impedire che la prossima legislatura perpetui l'anomalia dei tecnici al governo. Se si vuole sul serio creare un sistema tedesco in cui due grandi partiti o si alternano alla guida del paese grazie alla loro capacità di fare alleanze con le forze minori o, nei momenti di emergenza, si alleano per governare insieme, è necessario passare dall'ingegneria edile del sistema elettorale all'ingegneria genetica delle forze politiche. E definire l'identità precisa delle forze in campo. Perché chi non ha identità o non riesce a chiarirla è fatalmente destinato (come la storia della fine della Prima Repubblica e dell'avvento del berlusconismo insegna) a lasciare il passo a chi ha una identità più forte e più definita. Su questo punto nessuna delle tre entità politiche che stanno ridisegnando a proprio vantaggio la legge elettorale sembra essere pronta. Il Pd è una amalgama non riuscita tra post-comunisti e post-democristiani di sinistra. Il Terzo Polo è sempre di più una aggregazione indistinta di post-democristiani invecchiati. Il Pdl continua ad avere come collante unico Silvio Berlusconi ma non riesce a trovare una ragione chiara della propria esistenza e della propria funzione.
È il partito dei moderati e dei riformisti, come ha detto recentemente Fabrizio Cicchitto? Se è così è bene che Angelino Alfano e tutti gli altri dirigenti non facciano altro che affidarsi ancora una volta ai miracoli di San Silvio senza sprecare troppe energie inutili. Perché se l'identità è quella dei moderati timorosi del cambiamento e dei riformisti che vogliono dare solo qualche ritocco allo stato sociale in disfacimento, la battaglia è persa in partenza. O il Pdl si definisce come l'unica forza dell'innovazione, della modernizzazione e del superamento dello stato burocratico-assistenziale in nome della libertà. Oppure è meglio lanciare il "si salvi chi può".
di Arturo Diaconale