lunedì 24 novembre 2025
“Un grande successo”. Così il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit) ha dichiarato in riferimento al bonus elettrodomestici, che in un solo giorno ha visto presentare 550 mila domande, con l’esaurimento immediato delle risorse messe a disposizione. L’agevolazione consiste in un bonus fino a 100 euro (200 euro per i contribuenti con Isee inferiore a 25 mila euro) per coprire fino al 30 per cento del prezzo di acquisto di un nuovo elettrodomestico. Poiché il bonus ha validità di 15 giorni, le eventuali rimanenze saranno distribuite attraverso una lista d’attesa tra coloro che, pur avendone fatto richiesta, al momento sono rimasti esclusi per il raggiungimento del plafond.
Si possono fare (e sono stati fatti) molti commenti, che vanno dalla domanda se sia veramente questo il modo per promuovere la crescita (spoiler: no) alla critica dello strumento del click day, fino alla constatazione che ben 1,9 milioni di euro (circa il 4 per cento dei complessivi 50 milioni) sono stati assegnati a Invitalia e PagoPA per realizzare una piattaforma che, puntualmente, si è inceppata, creando tra l’altro problemi a tutti gli utenti della app Io (ne abbiamo scritto con Sergio Boccadutri sul Foglio). Per loro sì, è stato sicuramente un successo.
Concentriamoci però sul modo in cui il governo ha comunicato l’esito del click day: il Mimit considera il “tiraggio” di una misura alla stregua di un giudizio positivo sui suoi effetti. È, semplicemente, ridicolo: se regali i soldi, è molto probabile che la richiesta sarà superiore alla disponibilità. Se finanzi la ristrutturazione degli immobili, è naturale che molti ne approfitteranno. E se paghi una parte del costo dell’elettrodomestico a chi intende cambiarlo, è normale che questi ne traggano vantaggio. Ma la vera domanda è: quei 50 milioni di euro potevano essere usati in modi più produttivi? Hanno avuto qualche effetto sul risparmio di energia o altri impatti inintenzionali non considerati espressamente? E avrebbero avuto più o meno effetti sulla crescita se fossero stati lasciati nelle tasche dei contribuenti, anziché prelevarli per poi redistribuirli a vantaggio di un gruppetto di fortunati?
Per rispondere rigorosamente bisognerebbe svolgere uno studio. L’esperienza ci consente di avere un’idea piuttosto chiara: il declino italiano è fatto dalla somma di tanti aiutini, attraverso cui lo Stato stabilisce l’utilizzo delle risorse e si sostituisce a individui e imprese. Più ancora della risposta, preoccupa che il governo non voglia nemmeno porsi la domanda.
(*) Direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni
di Carlo Stagnaro (*)