Imu sulla rapina: la giustizia ferma il fisco abusivo

venerdì 21 novembre 2025


L’Imu non può colpire chi è privato del suo bene: lo ribadisce la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sardegna

Ci sono sentenze che, pur nascendo in ambito tributario, diventano pietre miliari nella difesa della libertà e della proprietà. È il caso di una recente decisione della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sardegna n. (1178/2/2025), che ha riconosciuto l’esenzione Imu anche quando il proprietario di un immobile occupato abusivamente non ha sporto denuncia penale, ma ha semplicemente promosso un’azione civile per ottenerne il rilascio. Un principio semplice, ma rivoluzionario, espresso testualmente dai giudici tributari come segue: “È irragionevole affermare che sussista la capacità contributiva del proprietario che abbia subito l’occupazione abusiva di un immobile che lo renda inutilizzabile e indisponibile e si sia prontamente attivato per rivendicarlo e recuperarlo in sede civile”.

Il caso ha riguardato un complesso immobiliare di Cagliari occupato dagli anni Ottanta e restituito solo nel 2023 dopo un lunghissimo contenzioso. Quando il Comune ha chiesto ai legittimi proprietari di pagare l’Imu, essi hanno replicato che, pur titolari formali del bene, non ne avevano alcuna disponibilità. La Corte ha dato loro ragione, rilevando che chi è privato della disponibilità del bene non può essere trattato come contribuente a tutti gli effetti.

È un passaggio di grande rilievo, perché restituisce coerenza all’idea che il prelievo fiscale deve basarsi su una ricchezza effettiva, non presunta. Pretendere un’imposta da chi è stato privato del proprio bene significa trasformare il tributo in punizione e negare la logica stessa dello scambio civile tra cittadini e istituzioni. La proprietà non è un’astrazione giuridica, ma il presupposto che permette di decidere e agire: quando questo potere viene meno, la pretesa fiscale si trasforma in sopruso.

In tal modo, l’impostazione del collegio isolano si colloca in netto contrasto con la mentalità burocratica che, per anni, ha considerato la proprietà privata come una fonte inesauribile di gettito. È la stessa logica che ha consentito allo Stato di tassare case inagibili, fabbricati distrutti, immobili sottoposti a sequestro o contenzioso. In siffatta prospettiva, il proprietario diventa un colpevole a prescindere: colpevole di possedere, di non usare, di non cedere.

La Corte ha compiuto un passo decisivo. Invece di invocare l’intervento del potere costituzionale, ha scelto di restituire centralità al giudice e alla ragione del diritto, leggendo la norma non come volontà del legislatore, bensì come strumento da ricondurre entro i limiti della libertà. Ha affermato in proposito che: “Le leggi devono essere interpretate nel rispetto della gerarchia delle fonti, con la Costituzione al vertice”, ma il principio che ne discende è più profondo: la legge non crea il diritto, lo riconosce. In questa prospettiva, non può esserci differenza tra chi difende la propria casa in sede penale e chi lo fa in sede civile, perché ‒ come scrivono i medesimi giudici: “In comune fra le due ipotesi vi è lo spossessamento illegittimo del bene per opera di terzi e il ricorso agli strumenti legali che l’ordinamento mette a disposizione dello spogliato, siano essi penali che civili”. La libertà giuridica comincia qui: nella possibilità di difendere ciò che è proprio senza che il potere pubblico aggiunga ostacoli invece di rimuoverli.

La decisione restituisce dunque dignità a chi, oltre al danno dell’occupazione, ha subito la beffa fiscale. Non è un tecnicismo, è invece un atto di giustizia sostanziale, cristallizzato nelle parole dei giudici: “L’esenzione dall’Imu si applica anche nel caso di illegittima occupazione del bene immobile con esercizio di azione civile da parte del proprietario”.

Ed è proprio da questo punto che si comprende la portata più ampia della pronuncia: l’interpretazione adottata dai giudici di Cagliari riporta al diritto fiscale un fondamento che sembrava smarrito: il riconoscimento che la proprietà non nasce dal potere, ma lo precede e lo limita. Quando questo spazio individuale viene violato, lo Stato non deve aggravare l’ingiustizia con nuove pretese di denaro: deve semplicemente arretrare. È auspicabile che la pronuncia diventi un riferimento per la giurisprudenza tributaria nazionale. Ogni giudice, di fronte a un accertamento Imu su immobili occupati, dovrebbe interrogarsi sulla reale disponibilità del bene e sull’effettiva capacità contributiva del proprietario. Un’imposta che ignora questi elementi non è solo incostituzionale: è moralmente ingiusta.

Più in profondità, la vicenda svela la contraddizione di un sistema che proclama il diritto alla casa e, tuttavia, punisce chi la casa l’ha costruita o difesa. Lo Stato, incapace di assicurare la tutela effettiva, finisce per colpire proprio chi ha subito l’illegittimo. È la perversione di un modello che confonde l’equità con l’esproprio e la solidarietà con la spoliazione.

La libertà economica – e con essa la civiltà – comincia dal riconoscimento che la proprietà è inviolabile. Non per privilegio, ma perché è il fondamento stesso della responsabilità. Chi può disporre del proprio bene può scegliere, investire, produrre, innovare. Chi ne è privato, invece, è privato della sua libertà. Pretendere un tributo in simili condizioni equivale a rovesciare l’ordine naturale delle responsabilità.

In conclusione, con la sentenza in commento, non è stata soltanto risolta una controversia: è stato riaffermato un principio che dovrebbe orientare ogni ordinamento giusto. La proprietà non è colpa, è garanzia; e ogni imposta che colpisce chi è privato del proprio bene non è una misura di libertà, ma un furto legalizzato. Quando lo Stato dimentica questa distinzione, diventa esso stesso occupante, più abusivo di chi forza una serratura.


di Sandro Scoppa