Cinema, un taglio giusto e necessario

lunedì 27 ottobre 2025


Con la legge di bilancio 2026, approvata dal Consiglio dei Ministri il 17 ottobre scorso e ora trasmessa al Parlamento, il governo ha deciso di ridurre le risorse destinate al cinema. La manovra prevede che il Fondo per il cinema e l’audiovisivo passi dagli attuali 696 milioni a 550 milioni nel 2026, per poi scendere a 500 milioni nel 2027: si tratta di una riduzione significativa, ma anche di una misura inevitabile per riportare sotto controllo una spesa pubblica per il cinema e l’audiovisivo che negli anni è cresciuta in modo rilevante creando molte distorsioni.

La dinamica del Fondo, istituito nel 2016 con la cosiddetta “legge Franceschini”, racconta bene questa espansione dell’intervento pubblico. Prima della riforma, il cinema riceveva risorse attraverso il Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS), che sosteneva anche fondazioni lirico-sinfoniche, teatro, musica e danza. La creazione di un Fondo autonomo ha portato a un iniziale balzo del 60% dei finanziamenti pubblici per il settore. Nato con una dotazione di 400 milioni, il Fondo è stato poi progressivamente aumentato: 640 milioni nel 2021, 750 milioni nel 2022 e 2023, fino alla stabilizzazione a circa 700 milioni nel biennio 2024-2025. 

Un ruolo decisivo lo ha avuto il tax credit, introdotto come incentivo alla produzione ma rivelatosi uno strumento difficilmente governabile. Tra il 2017 e il 2025, il credito d’imposta avrebbe generato sforamenti per oltre 1,4 miliardi di euro rispetto alle risorse stanziate. In altre parole, il sistema ha incentivato a produrre più di quanto lo Stato era intenzionato a concedere ma anche più di quanto il mercato potesse assorbire. Se nel 2014 in Italia si sono prodotti 201 film, nel 2023 sono diventati oltre 400. Si è trattato di una crescita vertiginosa. 

Il confronto con la Francia, Paese simbolo dell’intervento pubblico per la cultura e come tale ammirato dagli addetti ai lavori, è eloquente: se nel 2024 il mercato francese si è attestato a 180 milioni di biglietti venduti a fronte di 309 film nazionali prodotti, in Italia, con meno della metà degli spettatori (75 milioni), si sono realizzati circa 400 titoli. Con 140 film del 2024 che non sono usciti nelle sale.

Come ha scritto Giacomo Manzoli nel suo intervento su Lisander, dove è in corso una “discussione” proprio sui finanziamenti pubblici al cinema, tra contributi diretti, fondi europei, Film Commission regionali e incentivi fiscali, in Italia è diventato conveniente fare un film anche se nessuno lo vede. Una distorsione che ha generato un eccesso di offerta, penalizzato i progetti di qualità e alimentato una bolla produttiva. Ridurre i finanziamenti significa dunque riallineare l’offerta alla domanda effettiva del pubblico. Una correzione necessaria con possibili effetti benefici per il settore: meno film, ma capaci di parlare davvero agli spettatori. Alla marcia indietro annunciata dalla Sottosegretaria Lucia Borgonzoni (“I tagli dei fondi al cinema, un errore da recuperare. Troveremo 150 milioni”), meglio che il governo non dia seguito.

(*) Direttore editoriale dell'Istituto Bruno Leoni


di Filippo Cavazzoni (*)