venerdì 24 ottobre 2025
La metropoli canadese introduce un calendario obbligato che non risolve, anzi aggrava, la crisi abitativa.
Montréal, la seconda città del Canada, è diventata il simbolo di un nuovo corso restrittivo. Dal 10 giugno al 10 settembre, e solo in quel breve intervallo, i cittadini possono affittare la propria residenza principale attraverso piattaforme come Airbnb. Per i restanti nove mesi dell’anno, nelle aree residenziali questa possibilità è vietata, salvo eccezioni in alcune zone turistiche o commerciali. Il provvedimento, entrato in vigore nel settembre 2025, nasce con la giustificazione di “proteggere l’abitazione” e calmierare i canoni. Di fatto limita il diritto di proprietà trasformandolo in una concessione a tempo determinato.
La misura arriva dopo anni di pressioni politiche e mediatiche. L’incendio del 2023 in Old Montréal, che coinvolse appartamenti affittati illegalmente, ha spinto il Comune a varare controlli più severi. Ma dalla sicurezza si è passati a un blocco generalizzato per le residenze principali, ignorando la differenza tra chi gestisce strutture abusive e chi, rispettando le regole, condivide il proprio alloggio. Così un evento drammatico è stato strumentalizzato per imporre vincoli che nulla hanno a che vedere con la prevenzione reale dei rischi.
Il meccanismo è quello classico: si parte da un problema contingente, lo si ingigantisce a emergenza sociale e lo si usa per giustificare l’intervento amministrativo. Già Berlino, con la Mietpreisbremse del 2015, aveva tentato di frenare gli affitti, salvo ritrovarsi con un mercato più rigido e meno appetibile agli investitori. Atene, a sua volta, nel giugno 2025, ha annunciato lo stop a nuove licenze per gli affitti brevi nei distretti centrali fino al 2026. New York, poi, con la Local Law 18, ha ridotto drasticamente l’offerta su Airbnb, senza produrre l’auspicata riduzione dei canoni a lungo termine. In tutti questi casi, la politica ha scelto la scorciatoia del divieto, dimenticando che il mercato immobiliare, come ogni altro di beni o servizi, risponde alle leggi della domanda e dell’offerta, non agli slogan.
Nella metropoli canadese il paradosso è evidente. Le famiglie che per integrare il reddito aprivano le porte di casa ai turisti sono state costrette a rinunciare. La città si è privata di una quota significativa di posti letto, mentre i visitatori si concentrano nelle strutture alberghiere tradizionali, con prezzi inevitabilmente più alti. I residenti, che avrebbero dovuto beneficiare di più case disponibili per l’affitto a lungo termine, non hanno visto alcun miglioramento: l’offerta è rimasta scarsa, perché nessuno è incentivato a investire in nuove costruzioni se le regole cambiano ogni anno.
L’intervento della municipalità cittadina si traduce così in una perdita secca di libertà economica. Chi possiede un bene dovrebbe poter decidere come utilizzarlo, nel rispetto dei contratti e della sicurezza. Impedire di affittare la propria casa per la maggior parte dell’anno equivale a espropriare una parte sostanziale del valore di quella proprietà. Non è un caso che gli operatori parlino di colpo all’economia del turismo: secondo le stime diffuse da Airbnb, la stretta potrebbe costare centinaia di milioni di dollari in minori entrate, colpendo non solo i proprietari ma anche ristoranti, negozi e servizi collegati.
L’idea che lo Stato, o l’amministrazione pubblica locale, debba decidere come, quando e a chi affittare non è nuova. È la stessa logica che ha guidato l’equo canone in Italia negli anni Settanta, una norma che congelò i valori dei canoni e bloccò gli investimenti per decenni. È la stessa logica che porta oggi a discutere di limiti uniformi in Europa, con la Commissione che strizza l’occhio a vincoli e registri centralizzati. Ma se il problema è la scarsità, la soluzione non è ridurre ancora l’offerta: è incentivarla, rendendo più semplice costruire, ristrutturare, innovare.
L’esperienza dimostra che il dirigismo immobiliare genera effetti collaterali più gravi dei mali che pretende di curare. Invece di abbassare i prezzi, crea barriere; invece, di aumentare le opportunità, le riduce.
Alexis de Tocqueville aveva intuito bene siffatta dinamica, rilevando che: “I nostri contemporanei sono incessantemente affaticati da due passioni contrastanti: sentono il bisogno di essere diretti e il desiderio di restare liberi. (...) Immaginano un potere unico, tutelare, onnipotente, eletto però dai cittadini... Si consolano di essere sotto tutela al pensiero di avere scelto essi stessi i loro tutori. Ciascun individuo tollera di sentirsi legato, perché pensa che non sia un uomo o una classe, ma il popolo intero a tenere in mano la corda che lo lega”.
Montréal, centro urbano più popoloso e cuore economico del Québec, con il suo calendario obbligato, conferma quanto sia facile cadere nella tentazione di farsi “legare” da un potere tutelare, convinti che ciò serva all’interesse generale. Ma la realtà è che solo la libertà di scelta e la concorrenza producono abbondanza, mentre i divieti creano soltanto scarsità.
di Sandro Scoppa