La manovra del 2026? Prudente con i conti, timida con la libertà

giovedì 23 ottobre 2025


La legge di bilancio 2026 offre, come ogni manovra economica, lo specchio più fedele della direzione politica di un governo. Questa, in particolare, riflette l’intento di conciliare prudenza contabile e risposte sociali, ma rivela anche la persistente difficoltà dell’Italia a liberarsi dal paradigma statalista che frena la sua crescita da decenni. Come Unione Liberale, leggiamo il bilancio non come un esercizio tecnico, ma come un atto politico di redistribuzione del potere: tra cittadini e Stato, tra libertà e sovranità. È in questa tensione che nasce il nostro neologismo politicosovranlibertà – la libertà come fondamento della sovranità nazionale, e la sovranità come garanzia della libertà dei cittadini. Non esiste l’una senza l’altra.

LA MANOVRA TRA PRUDENZA E RINUNCIA

Il disegno di legge contiene misure di segno misto. La riduzione dell’aliquota Irpef dal 35 al 33 per cento è un segnale apprezzabile, seppur timido, nella direzione della riduzione del carico fiscale sul lavoro. Ma l’effetto reale rischia di essere assorbito da una macchina pubblica che continua a crescere più della ricchezza che produce. Le detrazioni per ristrutturazioni e riqualificazioni energetiche, prorogate ma ridotte, testimoniano la fine dell’ubriacatura da bonus, ma non ancora una visione chiara di politica industriale. Si evita il disastro contabile del Superbonus, ma non si apre una fase di libertà economica e responsabilità fiscale. Nel campo del lavoro, la tassazione agevolata dei premi di produttività e dei rinnovi contrattuali al 5 per cento rappresenta un passo coerente con la cultura liberale del merito. Ma manca una riforma più profonda del cuneo fiscale e una reale autonomia contrattuale che liberi imprese e lavoratori dalla burocrazia sindacale e statale.

Siamo invece davanti a un segnale preoccupante sul fronte dell’imposizione patrimoniale indiretta: l’aumento della ritenuta sulle locazioni brevi dal 21 per cento al 26 per cento penalizza la piccola proprietà diffusa e scoraggia l’intraprendenza individuale. È un’imposta che colpisce chi si è organizzato da sé, non chi vive di rendita pubblica. L’Italia non ha bisogno di una “mano pubblica” più forte, ma di istituzioni sovrane che proteggano la libertà dei cittadini. La sovranlibertà significa restituire al cittadino il diritto di decidere come lavorare, risparmiare, investire e curarsi, in un quadro di regole chiare e di responsabilità personale. Significa superare la contrapposizione sterile tra sovranismo e liberalismo: il primo, senza la libertà, scivola nel protezionismo; il secondo, senza la sovranità, si dissolve nella tecnocrazia. La sovranlibertà è la terza via liberale: uno Stato sovrano nel diritto, ma leggero nella mano. Forte nell’identità, ma limitato nel potere.

Nel suo insieme, la manovra resta difensiva: cerca di contenere la spesa ma non la riduce, amplia alcune libertà fiscali ma ne introduce di nuove restrizioni, promette crescita ma non la libera. È una legge di bilancio che si ferma a metà del guado tra centralismo e autonomia, tra sicurezza e responsabilità. Il vero atto di governo liberale sarebbe stato quello di tagliare la spesa improduttiva, liberalizzare i servizi pubblici locali, ridurre il peso normativo su imprese e lavoratori, e soprattutto rimettere al centro la persona come soggetto economico e morale. La sovranlibertà non è uno slogan, ma una riforma culturale. Significa ridare all’Italia la fiducia in se stessa, alla politica il coraggio di restituire potere ai cittadini, e allo Stato il suo limite naturale.

Il bilancio 2026 ci dice che la strada è ancora lunga. Ma la direzione, per chi crede nella libertà come radice della sovranità, è una sola: più responsabilità, meno spesa; più valorizzazione del talento, meno rendita; più libertà, più Italia.

(*) Unione Liberale


di Francesco Pasquali (*)