Il monito degli Inca: quando lo Stato comanda tutto

lunedì 13 ottobre 2025


Dal socialismo di Stato delle Ande precolombiane alle pianificazioni economiche di oggi: l’analisi di Louis Baudin resta un avvertimento contro l’illusione del controllo centrale.

Quando pensiamo agli Inca, l’immaginario si riempie di Machu Picchu, montagne maestose e città di pietra sospese tra le Ande e il cielo. Ma Louis Baudin, economista francese nato nel 1887, in quelle rovine ha visto qualcosa di più: la prova storica di cosa accade quando la vita economica è pianificata nei dettagli e l’iniziativa individuale viene soppressa.

Membro della Mont Pèlerin Society, l’associazione internazionale di studiosi, economisti, storici, giornalisti e intellettuali nata nel 1947 su iniziativa di Friedrich A. von Hayek e professore alla Sorbona, lo stesso ha dedicato anni allo studio della civiltà Inca, non come un archeologo, ma come osservatore dei meccanismi sociali e politici. Il risultato, tradotto in Italia come Il Perù degli Inca, è un’analisi che parla ancora al presente.

Per lo studioso transalpino, l’impero andino ha rappresentato un esempio compiuto di socialismo di Stato ante litteram. La terra, i raccolti e perfino il lavoro appartenevano alla comunità sotto il controllo centrale. L’ayllu, comunità di base, non era un’oasi di mutuo aiuto spontaneo, ma un ingranaggio dell’amministrazione: decideva chi coltivava, cosa seminava e cosa produceva. Strumenti come la mit’a (prestazioni obbligatorie), i quipu (registri contabili) e i mitmaq (trasferimenti forzati di popolazioni) garantivano un controllo capillare. Proprietà privata e commercio erano ridotti al minimo, la mobilità sorvegliata, la scelta individuale inesistente.

Baudin non ha negato che il sistema avesse assicurato ordine e una certa stabilità materiale. Tuttavia, ha evidenziato come, in assenza di prezzi di mercato, fosse impossibile allocare le risorse in modo efficiente. La pianificazione centralizzata poteva (e può) funzionare solo in un’economia statica, dove bisogni e tecniche restavano invariati. Non appena si presentava la necessità di adattarsi ˗ per carestie, innovazioni o crisi ˗ la macchina burocratica rivelava lentezza, rigidità e sprechi.

Questo insegnamento, apparentemente confinato alla storia precolombiana, è stato per lo studioso liberale un monito universale. Il mercato, ha rammentato, non è soltanto un luogo di scambio, è invece un sistema di conoscenza: attraverso i prezzi, aggrega e trasmette informazioni disperse che nessun ufficio centrale può possedere. Sostituire i prezzi con tabelle e la concorrenza con ordini amministrativi significa rinunciare a quella conoscenza, condannando la società a decisioni miopi e a errori costosi.

Il parallelo con l’attualità è evidente. Oggi il volto del collettivismo non è più quello di un impero montano isolato, è quello di politiche che concentrano nelle mani dello Stato la pianificazione di interi settori. Dalla transizione energetica decisa per decreto, alle filiere industriali dirette da incentivi selettivi, fino al ritorno di controlli sui prezzi in nome “dell’equità sociale”, il meccanismo di fondo non è cambiato. È lo stesso che Baudin aveva individuato studiando gli Inca: credere che un gruppo ristretto di pianificatori possa sostituirsi a milioni di scelte individuali e ottenere risultati migliori.

Per l’economista francese il problema non è solo l’inefficienza, ma la perdita di libertà. Nel mondo inca, il cittadino non aveva voce sul proprio lavoro, sulla destinazione dei suoi prodotti, sulla sua mobilità. Nell’epoca attuale, ogni volta che lo Stato decide cosa produrre, chi può farlo e a quali condizioni, riduce gli spazi di scelta e spinge verso una società più conforme e meno creativa.

La lezione è chiara: la proprietà privata e il libero scambio non sono concessioni morali, sono in realtà condizioni indispensabili per prosperità e responsabilità. Dove la proprietà è sicura e le regole sono uguali per tutti, l’investimento e l’innovazione prosperano; dove è incerta o soggetta a potere discrezionale, si diffondono stasi e privilegi.

Gli stessi errori riemergono nei piani quinquennali, nei tetti di spesa imposti dall’alto o nelle restrizioni arbitrarie alle attività economiche: modelli che pretendono di amministrare la società come una caserma o un campo agricolo collettivo. Possono nutrire i corpi, ma finiscono per svuotare le menti e, alla lunga, minare la stessa sicurezza materiale che promettono.

In tempi in cui l’attrazione per soluzioni centralizzate sembra tornare, il messaggio di Louis Baudin è più attuale che mai: “Il popolo era ben nutrito e ben vestito, ma non libero. E quando un popolo perde la libertà, perde l’anima”. Parole che ricordano come la vera misura del progresso non stia nell’uniformità, ma nella possibilità per ciascuno di scegliere e costruire la propria vita.


di Sandro Scoppa