Una lezione di libertà dalla Svizzera

mercoledì 1 ottobre 2025


Con l’abolizione del valore locativo, Berna cancella una tassa ingiusta e restituisce dignità alla proprietà della casa

Il 28 settembre 2025 segna una data storica per la Svizzera. In quella giornata, il popolo e i Cantoni hanno deciso di abolire il valore locativo, la tassa che per decenni ha trattato i proprietari come affittuari di se stessi, colpendo un reddito mai percepito. Infatti, come riportato da RSI e Swissinfo.ch, con il 57,7 per cento dei voti favorevoli e la maggioranza dei Cantoni, la ha cancellato un’imposta ingiusta e anacronistica, restituendo piena dignità alla proprietà della casa. La partecipazione, pari al 49,5 per cento, testimonia l’interesse per una riforma attesa da decenni e divenuta simbolo di una più ampia rivendicazione di giustizia fiscale.

Con questa decisione si chiude una delle più vistose contraddizioni del sistema tributario elvetico: l’assurdità di tassare un guadagno che nessuno realizza. Introdotta nel secolo scorso in nome di una presunta “equità”, la tassazione del reddito locativo fittizio si era repentinamente trasformata in una punizione per chi, invece di vivere in affitto, aveva scelto di risparmiare, acquistare una casa e mantenerla nel tempo. La riforma approvata, fondata sulla Legge federale concernente il passaggio a un nuovo sistema di imposizione della proprietà abitativa (Fedlex, 20 dicembre 2024), pone fine a siffatta distorsione, cancellando il reddito presunto per le abitazioni principali.

Da oggi, quindi, chi vive nella propria casa non sarà più trattato come un locatore di se stesso. È una riforma di libertà, di giustizia fiscale e di civiltà, che restituisce coerenza a un principio elementare: si tassa ciò che si guadagna, non ciò che si possiede. Come ha osservato il Consigliere agli Stati Fabio Regazzi: “Non si può tassare un reddito che non esiste: è una questione di buonsenso e di rispetto per chi ha lavorato tutta la vita per una casa”. Analogo il giudizio di Paolo Pamini, deputato Udc ticinese, per il quale: “Il valore locativo è ingiusto e obsoleto, poiché penalizza soprattutto coloro che hanno ripagato il debito, ossia che hanno agito virtuosamente”. Lo stesso ha quindi aggiunto che: “Abolire il valore locativo porterà più giustizia fiscale” e che “la riforma dà ai Cantoni la possibilità, non l’obbligo, di introdurre una tassa sulle residenze secondarie: è federalismo vissuto”.

A parte ciò, è anche opportuno rilevare che l’abolizione del valore locativo non è soltanto un provvedimento tecnico, ma anche una dichiarazione di principio. Essa riafferma che la proprietà non è un privilegio, è soprattutto una conquista che merita tutela. È la riaffermazione della libertà economica fondata sulla responsabilità individuale. In un’Europa che invoca nuove tasse “verdi”, patrimoniali o redistributive, la Confederazione svizzera ha scelto un’altra via: quella del rispetto del cittadino e del riconoscimento del risparmio come valore sociale. Le modifiche che accompagnano la riforma  ̶  la soppressione delle deduzioni per la manutenzione e la riduzione progressiva di quelle sugli interessi ipotecari, come previsto dal Dipartimento federale delle finanze  ̶  non ne attenuano la portata. Al contrario, ribadiscono una verità essenziale: lo Stato non deve sostituirsi all’individuo nelle sue scelte di vita, né usare la fiscalità come strumento di ingegneria sociale.

Il contrasto con l’Italia è evidente. Qui la casa è da sempre vista dal potere pubblico non come un diritto da proteggere, quanto come una fonte di prelievo. Dalla tassazione locale alle imposte patrimoniali, dagli oneri burocratici alle continue minacce di reintroduzione dell’imposta di successione, il proprietario italiano è sottoposto a un accanimento fiscale e normativo che scoraggia il risparmio e punisce la virtù. Non a caso, mentre la Svizzera elimina un’imposta su un reddito inesistente, al di qua delle Alpi si continua a discutere di “case green”, “equo canone” e “affitti calmierati”, tutte varianti di un medesimo riflesso dirigista: la diffidenza verso chi possiede, risparmia e costruisce.

In Svizzera, il cittadino resta al centro: decide, risparmia, possiede, senza dover chiedere permesso allo Stato. Nel nostro Paese, invece, esso occupa il centro: controlla, impone, regola, fino a rendere il diritto di proprietà un esercizio condizionato, reversibile, quasi sospetto. La differenza è culturale prima ancora che politica. Berna parte dal presupposto che la libertà individuale sia un valore da preservare; Roma continua a considerarla un privilegio da limitare. Il Paese elvetico ha pertanto ricordato che la casa è un bene personale, non una base imponibile. L’ha fatto attraverso la democrazia diretta, riaffermando che il potere politico è legittimo solo se rispetta la libertà di chi produce e risparmia. È un messaggio che il Belpaese dovrebbe saper cogliere: non c’è vera uguaglianza dove lo Stato tassa la virtù e premia la dipendenza.

Ciò che la Repubblica alpina ha deciso è semplice e rivoluzionario insieme: riconoscere che abitare sotto il proprio tetto non può essere un atto fiscalmente punito. È la vittoria del buonsenso contro l’ideologia, della libertà concreta contro il fisco arbitrario. La Confederazione elvetica, ancora una volta, dimostra che la giustizia fiscale non nasce dall’eguaglianza forzata, ma dal rispetto della proprietà. E che, quando la libertà viene affidata al giudizio dei cittadini, non teme il voto.


di Sandro Scoppa