venerdì 26 settembre 2025
Che il mondo stia vivendo un momento storico estremamente critico è sotto gli occhi di tutti. È evidente che è in profonda crisi il modello, di relazioni e di governance politica ed economica internazionale che si era costruito, dopo la Seconda guerra mondiale. In contrapposizione alla autarchia che imperava nel mondo (“dove non passano le merci passano gli eserciti”) si era dato seguito a facilitare il libero scambio, il dollaro era diventata la moneta universale di riferimento per i pagamenti internazionali. Il mondo era diviso in due blocchi: Stati Uniti e l’Unione Sovietica come aree d’influenza geopolitica. È nella crisi profonda delle grandi istituzioni internazionali sovranazionali, come Onu e il Wto, che si erano da tempo manifestati i prodromi della crisi attuale. I sintomi della malattia erano già presenti già prima della rielezione come presidente degli Stati Uniti di Donald Trump. Forse, la travolgente vittoria alle presidenziali di Trump è stato l’effetto di una situazione che da tempo covava sotto le ceneri delle società americana. La malattia è esplosa con il ritorno da parte dell’amministrazione americana a una politica commerciale incentrata sui dazi doganali e sui diritti di confine applicati sulle importazioni. Imposte territoriali, che hanno raggiunto livelli che negli Stati Uniti non si vedevano da un secolo.
In realtà, il Paese più liberista in economia del mondo ha sempre adottato politiche protezionistiche e applicava imposte sulle importazioni ovviamente con aliquote decisamente più basse di quelle di oggi, nei confronti delle merci provenienti dal resto del mondo. L’obbiettivo vero, a mio avviso, del tycoon americano non è solo il riequilibrio della bilancia commerciale degli Stati Uniti verso il resto del mondo e l’incremento degli introiti fiscali derivanti dalle imposte di confine, ma soprattutto la reindustrializzazione dell’economia statunitense. Negli ultimi decenni l’economia del nord America era diventata post industriale e si era orientata nella produzione di servizi ad alto valore aggiunto. Strategia economica che ha enormemente arricchito le Big Tech ma che ha impoverito larghi strati della middle class che operava nel settore agricolo ed industriale.
Gli effetti della politica aggressiva sui dazi all’importazione hanno cominciato ad avere riscontri concreti. Le multinazionali del settore farmaceutico stanno lasciando la Gran Bretagna e la stessa Europa per andare a produrre direttamente negli Usa bypassando così la mannaia delle imposte doganali. È nei fatti che il processo di deglobalizzazione sta accelerando in primis negli Stati Uniti ma seguiranno la scia anche le imprese europee. L’Ocse ha di recente diramato i dati previsionali sulla crescita del Pil mondiale. Dai dati è emerso che la crescita del Pil sarà superiore all’incremento del commercio internazionale. Ciò significa che si sta incrementando la produzione in house dei singoli Paesi e quindi si riduce l’import-export. Inoltre, è diventata strategica l’incentivazione della produzione in generale e di prodotti a elevato contenuto tecnologico, come i micro chip di ultima generazione, per evitare la dipendenza nei confronti della Cina. Paesi che avevano puntato sulla terziarizzazione dell’economia, si sono resi conto che è fondamentale anche l’industria manifatturiera. L’Italia, fortunatamente, non ha mai abbandonato l’industria manifatturiera che è risultata determinante per tenere in piedi un Paese che del saper fare prodotti di eccellenza è sempre stata leader a livello mondiale. Non è un caso che quasi un terzo del nostro Pil si realizza con le esportazioni all’estero.
di Antonio Giuseppe Di Natale