Il sovraindebitamento come questione sistemica europea

giovedì 18 settembre 2025


Il tema del sovraindebitamento ha assunto, negli ultimi anni, una centralità crescente nel dibattito giuridico ed economico, in particolare a seguito della crisi pandemica da Covid-19, che ha agito da moltiplicatore di fragilità preesistenti all’interno del tessuto socioeconomico europeo.

Quello che un tempo poteva essere considerato un problema circoscritto all’ambito interno di ciascun ordinamento nazionale si presenta oggi come una questione di portata sistemica e strutturale, che richiede risposte coordinate e coerenti a livello sovranazionale. La circolazione transfrontaliera dei capitali, l’operatività degli intermediari finanziari su scala europea, l’omogeneizzazione progressiva delle condizioni di accesso al credito e, più in generale, la crescente interdipendenza economica tra gli Stati membri dell’Unione Europea rendono evidente come il fenomeno del sovraindebitamento non possa più essere letto unicamente attraverso la lente del diritto interno.

La necessità di un approccio armonizzato si è concretizzata, sul piano normativo, con l’adozione della Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa ai quadri di ristrutturazione preventiva, alla esdebitazione e alle interdizioni, e alle misure volte ad aumentare l’efficienza delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione. Tale direttiva ha rappresentato un punto di svolta nella disciplina europea dell’insolvenza, promuovendo una visione non più meramente repressiva, bensì orientata alla prevenzione, alla rapidità procedurale e alla reintegrazione economica del debitore meritevole. La Direttiva 2019/1023 ha individuato obiettivi precisi, tra cui la rimozione degli ostacoli di natura giuridica, economica e procedurale che rendono difficoltoso – quando non impossibile – l’accesso alle procedure di composizione delle crisi per una vasta platea di soggetti, in particolare i piccoli imprenditori, i lavoratori autonomi e i consumatori.

Tra i principi fondamentali, si segnala l’introduzione dell’obbligo per gli Stati membri di garantire la possibilità di ottenere l’esdebitazione entro un periodo massimo di tre anni, a condizione che il debitore sia ritenuto meritevole. Si tratta di una disposizione che si inserisce nella logica della “seconda opportunità”, in netta controtendenza rispetto a modelli punitivi che, storicamente, hanno caratterizzato le discipline nazionali in materia di insolvenza. Un ulteriore profilo rilevante è rappresentato dall’esigenza di semplificare e accelerare le procedure di ristrutturazione, rendendole meno onerose sotto il profilo finanziario e più prevedibili in termini di esiti. L’accessibilità non è dunque solo un fatto tecnico, ma si traduce nella concreta possibilità per il debitore di attivare un percorso sostenibile di rientro o liberazione dai debiti, senza eccessivi vincoli formali e costi insostenibili.

In Italia, i principi della Direttiva 2019/1023 sono stati recepiti attraverso la riforma del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Ccii), entrata pienamente in vigore nel 2022. Il legislatore ha provveduto a una complessiva riorganizzazione degli strumenti a disposizione del debitore non fallibile, con particolare riferimento alle procedure semplificate per la gestione del sovraindebitamento, come il concordato minore, il piano del consumatore e la liquidazione controllata. Tuttavia, è evidente che l’intervento normativo, pur rappresentando un passo avanti significativo in termini di coerenza sistematica e di modernizzazione della disciplina, non è sufficiente di per sé a garantire l’effettività della tutela. La normativa, infatti, deve essere accompagnata da un sistema operativo efficiente, capillare, dotato di risorse adeguate e in grado di fornire assistenza reale a cittadini spesso privi di strumenti culturali e informativi per orientarsi autonomamente. La crisi economica innescata dalla pandemia ha avuto un impatto devastante su ampie fasce della popolazione, accentuando vulnerabilità già esistenti e producendo nuovi profili di rischio.

Laddove il ricorso al credito è stato spesso l’unica via per fronteggiare le difficoltà del breve periodo, in assenza di ammortizzatori sociali adeguati o di strumenti di sostegno strutturale, il debito si è trasformato rapidamente in una condizione di rigidità finanziaria cronica. I soggetti più colpiti sono stati, in particolare, i lavoratori autonomi con redditi discontinui, le famiglie monoreddito, i piccoli imprenditori del settore commerciale e artigianale, spesso privi di accesso a forme strutturate di credito agevolato. L’aumento delle domande di accesso alle procedure di composizione delle crisi ne è testimonianza diretta, ma al contempo mette in luce una pluralità di criticità sistemiche: la dispersione territoriale delle risorse, l’insufficienza di presidi specializzati nei territori meno urbanizzati, la debolezza delle reti di informazione e orientamento al cittadino. In questo contesto, l’analisi comparata con altri ordinamenti europei può fornire spunti utili per un ripensamento strutturale del modello italiano.

In Francia, la gestione delle situazioni di sovraindebitamento è affidata alla Banque de France, che opera in qualità di autorità amministrativa indipendente e che gestisce la definizione dei piani di rientro attraverso procedure snelle e a basso costo. Il carattere amministrativo del modello francese consente una maggiore celerità e un minor contenzioso giudiziario.

In Belgio, il ricorso a mediatori del debito accreditati ha consentito di strutturare un sistema di accompagnamento stabile e continuativo tra debitori e creditori, che tiene conto anche delle esigenze sociali e relazionali della persona sovraindebitata. I mediatori fungono da figura ponte, garantendo un bilanciamento tra gli interessi delle parti coinvolte. Il modello tedesco, infine, si distingue per l’efficienza della rete di centri pubblici e privati di consulenza debitoria, che offrono un supporto integrato sul piano giuridico, psicologico ed educativo. L’educazione finanziaria viene concepita come strumento di prevenzione primaria, in grado di ridurre l’insorgenza del sovraindebitamento stesso.

Questi modelli presentano tratti comuni: un approccio proattivo, centrato sull’intervento precoce, sulla personalizzazione delle soluzioni e sulla riduzione delle barriere di accesso. La loro finalità non è solo quella di gestire l’insolvenza quando si è già verificata, ma soprattutto di intercettare le situazioni a rischio in una fase preventiva. Rispetto ai modelli sopra richiamati, il sistema italiano sconta ancora diversi limiti. I Centri per la Composizione della Crisi, pur previsti dal Codice della crisi, non riescono sempre a garantire un presidio effettivo e omogeneo su tutto il territorio nazionale. In particolare, nelle aree periferiche e nei piccoli centri, l’assenza di strutture dedicate rende di fatto inaccessibili le procedure previste dalla legge.

Altro elemento critico è l’elevata asimmetria informativa tra debitori e creditori. I soggetti sovraindebitati, spesso privi di una formazione economico-finanziaria di base, non sono in grado di comprendere appieno le implicazioni delle scelte di indebitamento né di valutare le opportunità offerte dalle procedure legali. L’educazione finanziaria, che altrove è inserita nei curricula scolastici e nei percorsi di formazione professionale, in Italia rimane una dimensione scarsamente sviluppata, con la conseguenza che le situazioni di crisi vengono spesso affrontate in ritardo, quando il danno economico è già strutturato e le possibilità di recupero ridotte.

Un ulteriore profilo da considerare riguarda la distinzione, tuttora non del tutto compresa, tra la disciplina del sovraindebitamento e quella delle procedure concorsuali tradizionali, oggi disciplinate dal Codice della crisi. Mentre le procedure concorsuali classiche (come il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale) si rivolgono ad imprese sopra soglia e a soggetti fallibili, la disciplina del sovraindebitamento è pensata per consumatori, piccoli imprenditori, professionisti e soggetti non fallibili, ai quali vengono offerte procedure più snelle e orientate alla salvaguardia della dignità personale e al reinserimento socioeconomico.

Le finalità, pur avendo un comune obiettivo di riequilibrio della posizione debitoria, divergono nella loro impostazione: mentre il concordato preventivo mira alla ristrutturazione dell’impresa, le procedure di sovraindebitamento pongono al centro la persona del debitore e il principio della seconda opportunità. È proprio alla luce di tale distinzione che sarebbe opportuno ripensare alcune scelte normative ancora eccessivamente formalistiche e valorizzare, invece, le buone pratiche già sperimentate in altri ordinamenti. Occorre un cambio di paradigma che riporti al centro l’effettività della tutela, non solo sul piano giuridico, ma anche su quello sociale. Il sovraindebitamento non è infatti una mera condizione economica: si tratta di una situazione che incide profondamente sulla vita delle persone, generando disagio psicologico, isolamento sociale e, talvolta, esclusione relazionale e lavorativa.

La seconda opportunità, così come promossa dalla normativa europea, non risponde a logiche di indulgenza morale, bensì a una visione economica razionale, che riconosce come la penalizzazione eccessiva del fallimento personale comprometta il funzionamento del mercato e ostacoli la partecipazione attiva dei cittadini alla vita economica.

In conclusione, se il diritto vuole essere davvero strumento di regolazione e di riequilibrio, deve porsi concretamente il problema dell’accessibilità, della comprensibilità e della sostenibilità delle soluzioni che offre. Solo attraverso un’integrazione effettiva tra strumenti normativi, reti istituzionali, pratiche di prossimità e percorsi di educazione finanziaria sarà possibile affrontare il fenomeno del sovraindebitamento nella sua complessità, trasformandolo da fattore di esclusione in occasione di rilancio economico e umano.

(*) Economista


di Enea Franza (*)