lunedì 15 settembre 2025
L’esperimento della Local Law 18 ha fallito: crescono gli affitti, calano le opportunità. Ora la politica riscopre la forza delle scelte individuali.
New York, crocevia globale del turismo e del business, ha accolto nel 2024 quasi 63 milioni di visitatori, generando un impatto economico di oltre 74 miliardi di dollari. Numeri che danno la misura di quanto la città sia non solo un’icona culturale, ma anche un laboratorio economico osservato da tutto il mondo. Ed è proprio qui che, dopo anni di repressione sugli affitti brevi, torna a imporsi una domanda semplice e radicale: è compito della politica decidere come le persone possano utilizzare la propria casa?
Com’è noto, nel settembre 2023 è entrata in vigore la Local Law 18 (LL18), una legge municipale approvata dal City Council, il Consiglio Comunale della metropoli statunitense, che è in sostanza una specie di parlamento, e firmata dal sindaco l’anno precedente. La norma ha imposto la museruola a migliaia di host: divieto di affittare intere unità per meno di 30 giorni, obbligo di presenza fisica del residente permanente, massimo due ospiti. Una regolazione molto rigida, salutata dai fautori come strumento per liberare alloggi a lungo termine e calmierare i prezzi. Ad appena due anni di distanza la realtà ha smentito la retorica: gli affitti sono aumentati, gli hotel hanno alzato le tariffe, mentre intere famiglie che integravano il reddito con l’ospitalità sono rimaste senza una fonte vitale di sostegno. Il mercato non ha obbedito ai decreti municipali perché non è un colpevole da punire, ma l’espressione delle scelte individuali di milioni di persone. Non trama né complotta: segnala attraverso i prezzi la scarsità dei beni disponibili e riflette la domanda reale di abitazioni e ospitalità. Gli effetti indesiderati non derivano dal mercato, bensì da regole che hanno ridotto l’offerta, limitato la concorrenza e reso la città più cara e meno dinamica.
È in questo contesto che a fine 2024 alcuni consiglieri hanno presentato la Introduction 1107 (Intro. 1107), cioè una proposta di legge depositata al medesimo City Council e ancora in discussione. Essa non mira a una liberalizzazione totale, bensì a operare una riforma per allentare la camicia di forza della LL18 con “modesti” correttivi: permettere ai proprietari di case mono o bifamiliari di affittare durante la loro assenza, innalzare a quattro il limite massimo degli ospiti, chiarire le regole sulla condivisione degli spazi. In altre parole, restituire un minimo di libertà a chi vuole trarre legittimo beneficio dal proprio immobile.
La partita si gioca soprattutto nei quartieri periferici, abitati da comunità afroamericane e latinoamericane, dove la proprietà della casa è spesso l’unico strumento di accumulazione patrimoniale. Per queste famiglie, ospitare viaggiatori non è una pratica da condannare, bensì una forma di sopravvivenza economica e di valorizzazione della propria casa. È soprattutto l’esercizio legittimo di un diritto: ognuno deve poter disporre liberamente del proprio bene. Non a caso, la coalizione che sostiene l’Intro. 1107 include associazioni per i diritti civili come la Naacp (National Association for the Advancement of Colored People, la storica organizzazione statunitense per la difesa dei diritti civili degli afroamericani) e organizzazioni comunitarie radicate nei distretti del Bronx, di Brooklyn e del Queens.
Gli oppositori, capeggiati dai gruppi per i diritti degli inquilini, agitano lo spettro della speculazione e paventano nuove pressioni immobiliari. Si tratta di una narrazione fuorviante che ignora l’evidenza: il mercato non può essere fermato a colpi di divieti. Ogni restrizione non ha prodotto più abitazioni a lungo termine, ha soltanto falcidiato l’offerta di ospitalità breve, ridotto le possibilità di scelta dei consumatori e privato i proprietari di una risorsa legittima di reddito. È l’ennesima dimostrazione di come la retorica dell’emergenza serva a giustificare un controllo politico che impoverisce tutti, senza risolvere nulla.
Airbnb, consapevole della posta in gioco, ha intensificato il suo impegno. Ha investito 5 milioni di dollari nella campagna elettorale per le amministrative del 2025, sostenendo candidati favorevoli a una maggiore apertura, e ha stretto una partnership da un milione con il Neighborhood Housing Services of New York City (Nhsnyc, organizzazione non profit attiva da oltre quarant’anni a sostegno dei residenti a basso e medio reddito con programmi di prevenzione dei pignoramenti e consulenza finanziaria) per promuovere stabilità abitativa e prevenire le perdite di proprietà. È una strategia che va oltre l’autodifesa: si propone di dimostrare che la piattaforma non è una minaccia, bensì una risorsa per la città.
The Big Apple diventa così il banco di prova di una dinamica globale. Se la metropoli che aveva imposto le regole più restrittive d’America ammette la necessità di correzioni, anche Boston, Los Angeles, Parigi e Barcellona non potranno ignorare la lezione. E questa è chiara: l’intervento dirigista crea distorsioni, non soluzioni. L’unica vera garanzia di accessibilità e vitalità urbana resta la libera interazione tra domanda e offerta, non la burocrazia che pretende di pianificare i bisogni.
Ciò che accade a New York mostra in modo lampante che quando lo Stato prova a sostituirsi alle scelte individuali finisce per produrre effetti opposti a quelli dichiarati. Le restrizioni hanno ridotto opportunità, non aumentato disponibilità. Ecco perché la battaglia sugli affitti brevi non riguarda solo Manhattan, tocca invero un principio universale: la proprietà non è un privilegio concesso dal potere pubblico, è un diritto da esercitare senza vincoli arbitrari.
di Sandro Scoppa