L’unica tassa etica è la tassa in meno

mercoledì 6 agosto 2025


Altro che etica: qui c’è solo il moralismo di Stato

L’etica viene spesso tirata in ballo, a sproposito, dalla politica. Ma raramente questo è accaduto più a sproposito che con l’istituzione della “tassa etica”, che colpisce le attività di “produzione e vendita di materiale pornografico o di incitamento alla violenza” con un’aliquota del 25 per cento.

Al di là dei possibili problemi applicativi - per esempio, dove e come si traccia il confine tra contenuti espliciti e no, e come determinare quali parti del reddito di un performer derivano dagli uni o dagli altri? - l’imposta solleva un doppio dubbio, questo sì, etico. In primo luogo, essa pone una questione di equità orizzontale, anche alla luce della sua elevata entità: come si giustifica il fatto che due soggetti con redditi analoghi siano chiamati a versare imposte così diverse solo perché lo Stato esprime un giudizio di merito sulla finalità delle loro condotte? Detto in altri termini: se due gemelli svolgono entrambi la professione di attore, l’uno in pellicole con contenuti pornografici, l’altro in cinepanettoni, per quale ragione il primo dovrebbe pagare ben venticinque punti percentuali in più rispetto all’altro? Entrambe le attività sono perfettamente lecite, entrambe vengono svolte nel pieno rispetto delle leggi ed entrambe rispondono a una domanda di intrattenimento.

Il secondo tema è relativo all’affiancamento della pornografia all’incitamento alla violenza: un’associazione che è non solo sbagliata, ma anche dannosa. La pornografia, se svolta alla luce del sole, è un’attività lecita che avviene nel rispetto dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti. L’associazione con la violenza è fuorviante e squalificante e, in ultima analisi, quasi sembra legittimare gli abusi.

Infine, c’è un terzo aspetto, che non riguarda l’etica ma la tassa: abbiamo più volte criticato l’incoerenza del sistema tributario, la sua frammentazione, il proliferare di addizionali o regimi speciali. Ecco: la tassa etica è l’ennesima deviazione da un meccanismo razionale e ordinato, che non ha solo l’effetto, ma addirittura l’obiettivo dichiarato di scoraggiare certe attività (ritenute moralmente disdicevoli) - e forse anche la conseguenza inintenzionale di rendere l’evasione ancora più attrattiva, se e quando possibile. Insomma: invece di “non disturbare chi ha voglia di fare”, il fisco italiano s’impiccia delle scelte dei contribuenti per indirizzarli verso la supposta virtù e disincentivare il preteso vizio. Il risultato, però, è quella complicazione che tutti, a parole, condannano e dicono di voler ridurre, salvo poi alimentarla incessantemente.

Nel passato abbiamo più volte criticato l’uso “etico” del fisco, per esempio quando in ballo c’erano imposte finalizzate a correggere gli stili di vita. Ma almeno in quel caso c’era un tentativo di giustificare l’intervento tributario con la volontà di compensare esternalità più o meno evidenti: qui, invece, c’è solo il moralismo di Stato.

(*) Tratto dall'Istituto Bruno Leoni


di Istituto Bruno Leoni