mercoledì 30 luglio 2025
La crescita, oltre le previsioni, delle entrate tributarie dello Stato, nei primi mesi del 2025, potrebbero concorrere a far uscire l’Italia dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo un anno prima di quanto programmato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Le maggiori entrate dell’erario ammontano a 13,8 miliardi di euro. Ai maggiori incassi fiscali si accompagna anche una riduzione della spesa per interessi sui titoli di Stato grazie alla riduzione dello spread e alla ritrovata fiducia del mercato dei capitali sul nostro debito sovrano. A tal proposito, il viceministro dell’Economia e delle Finanze con delega alla riforma fiscale Maurizio Leo, a margine del suo intervento all’evento organizzato dal gruppo di Camera e Senato di Fratelli d’Italia, ha affermato che “l’Amministrazione finanziaria sta lavorando bene, il versante della spesa che è ancora preoccupante perché come voi sapete portiamo quel macigno che è il super bonus” (13,1 miliardi di recupero bonus edilizi e crediti d’imposta). Sagge parole. Che al Ministero dell’Economia e delle Finanze stiano operando un’accorta politica di bilancio è un dato che finalmente hanno somatizzato anche i mercati finanziari. Siamo il primo Paese in Europa che ha riportato i conti pubblici in avanzo primario ovvero un saldo attivo tra le entrate e le uscite finanziarie al netto della spesa per interessi.
L’avanzo primario è un dato importantissimo che indica la capacità dello Stato di far fronte alle obbligazioni assunte con i propri creditori e che i conti sono in ordine. In pratica, se l’Italia non dovesse pagare l’enorme mole d’interessi sul proprio debito, le entrate dello Stato supererebbero le uscite. È grazie al rigore sulla gestione dei conti pubblici del titolare del dicastero dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che nei mercati finanziari è ritornata la fiducia sui titoli di Stato italiani e si è ridotto lo spread tra i nostri Btp e il corrispondente Bund tedesco con scadenza decennale. Il differenziale di tasso d’interesse è sceso ieri fino 83 punti base. Se venisse confermato, a fine anno, l’andamento molto positivo delle entrate, il rapporto deficit-Pil potrebbe scendere al 2,7 per cento. Lo 0,6 per cento in meno rispetto al 3,3 per cento che era previsto. Un successo indiscutibile dell’attuale Esecutivo. Dovremmo essere contenti dei risultati conseguiti dal Ministero del Tesoro per il fatto che l’azione di risanamento attuata dal Governo, sin dalla prima Legge di Stabilità, sta danno gli effetti sperati. Ma a quale prezzo per i contribuenti italiani? Se continuano sine die a crescere le entrate tributarie significa che il contribuente italiano è sempre più spremuto da una insostenibile pressione fiscale che non può non pesare sulla crescita economica del Paese.
Più è alto il prelievo fiscale sul contribuente minore sarà il suo reddito disponibile per i consumi e gli investimenti. Siamo consapevoli che il nostro debito pubblico debba continuare scendere per non interrompere il virtuoso processo in atto. La riduzione del debito deve essere perseguita riducendo la spesa cattiva e non salassando i contribuenti. È diventata improcrastinabile un’azione progressiva di abolizione delle 625 agevolazioni fiscali (Tax Expenditures) che favoriscono alcuni settori economici a scapito di tutti gli altri contribuenti. Dalla riduzione delle provvidenze pubbliche che avvantaggiano pochi privilegiati, si potrebbero trovare le risorse finanziarie per ridurre le imposte per tutti senza inficiare il virtuoso processo di risanamento delle finanze pubbliche. L’imperativo, quindi, per i prossimi due anni e mezzo circa di legislatura del Governo di centrodestra dovrà essere una progressiva riduzione del prelievo fiscale che era uno dei punti fondamentali del programma di Governo. Ci sono tutte le condizioni per rispettare la promessa fatta agli elettori!
di Antonio Giuseppe Di Natale