giovedì 3 luglio 2025
L’articolo 2265 del Codice civile stabilisce che “è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”. In Italia l’erario dello Stato impone il “patto leonino” al contribuente. Lo Stato è il socio di maggioranza in caso di realizzazione degli utili, ma non partecipa alle perdite subite. Anzi, considera un’anomalia quando l’impresa o il lavoratore autonomo non produce redditi crescenti da assoggettare al prelievo fiscale. L’articolo “La via della virtù è lastricata di nuove tasse?”, dell’autorevole Istituto Bruno Leoni, mi trova pienamente d’accordo; come è condivisibile il fatto che “la politica dovrebbe essere fatta non solo di “cerotti” ma anche di segnali netti”. Non si può, altresì, non concordare che negli “ultimi anni il ministro Giancarlo Giorgetti abbia fatto della responsabilità fiscale la cifra della sua azione”. Il lavoro fin ora svolto dal responsabile del dicastero della economia e delle finanze è sicuramente apprezzabile ma data la pressione fiscale attuale non è sufficiente. Le entrate fiscale crescono anno dopo anno a ritmi superiori alla crescita effettiva del Pil. È evidente che è migliorata la capacità di riscossione della agenzia delle entrate. La ricchezza prodotta dal sistema economico è limitata mentre le esigenze del fisco sono crescenti ed illimitate.
Nella seconda metà della legislatura, l’esecutivo deve necessariamente invertire la rotta e “affamare la bestia fiscale” che ha una voracità senza fine. La storia economica insegna che quanto è maggiore è la quota di reddito lordo drenato dal fisco ai contribuenti tanto minore sarà la crescita economica con effetti negativi anche sui conti pubblici. Si riduce il reddito disponibile per i consumi e gli investimenti. Il governo di centrodestra deve somatizzare il fatto che la fiducia riposta sull’esecutivo può rapidamente cambiare in conseguenza della insostenibile tassazione. La legge di bilancio per il 2026 deve tracciare un percorso chiaro e inequivocabile sulla volontà di incidere decisamente sull’eccessivo carico fiscale non più sostenibile. È un impegno preso con i cittadini elettori nel programma di governo. Se lo Stato, attraverso le imposte dirette, indirette e infinite gabelle che fa pagare ai cittadini, supera il 50 per cento della ricchezza prodotta, il prelievo fiscale è vissuto dal contribuente non come un sacrificio indispensabile per mantenere la macchina dello Stato ma di un vero furto con destrezza. Eppure, i margini di manovra per ridurre la spesa improduttiva che si è stratificata negli anni ci sono, se si considera la spesa complessiva dello Stato.
Un’impresa privata, per non rischiare la continuità aziendale, deve tenere sempre la guardia alta sui costi di gestione che devono essere sempre inferiori ai ricavi per poter remunerare i fattori produttivi impiegati quali: il capitale investito, il lavoro, l’attività imprenditoriale considerando sempre la quota di imposte da corrispondere alla pubblica amministrazione. Sono consapevole del fatto che “l’azienda Stato” risponde ad altre esigenze e obiettivi che sono diversi da quelli di una impresa privata. Tuttavia, i criteri di sana e corretta gestione delle risorse sono universali. L’articolo 81 della Costituzione stabilisce “il principio dell’equilibrio di bilancio per lo Stato, richiedendo che le entrate e le spese siano bilanciate”. Lo Stato non può e non dovrebbe adeguare le entrate con nuovi balzelli a carico dei contribuenti per sostenere una spesa pubblica senza freni. La misura del carico fiscale è colma!
La pressione fiscale ha raggiunto livelli così alti che è diventato, in molti casi, antieconomico produrre ricchezza quando più della metà, senza alcun rischio, viene prelevata dall’erario. Se non si pone rimedio alla palese iniquità nel rapporto tra lo Stato e il contribuente, le conseguenze per il Governo si vedranno alle prossime elezioni amministrative e politiche.
di Antonio Giuseppe Di Natale