martedì 20 maggio 2025
L’impresa familiare ha rappresentato per decenni una delle colonne portanti del tessuto economico italiano. La “dinastia imprenditoriale” è stata per molto tempo, anche nelle piccole realtà, il modello di riferimento: genitori che passano le redini ai figli e così via a cascata. Oggi, però, stiamo assistendo a un cambiamento di rotta. Sempre più frequentemente famiglie di imprenditori decidono di non passare il testimone alle nuove generazioni, preferendo invece cedere l’azienda, affidandola a manager esterni o a fondi di investimento. Questa decisione, che fino a qualche tempo fa veniva vissuta come un fallimento o una rinuncia, sta assumendo sempre più i contorni di una scelta razionale, ponderata, strategica e, a volte, persino responsabile. Si potrebbe discutere per un giorno intero su quelle che siano le cause che spingono famiglie di imprenditori a cedere la propria attività piuttosto che tramandarla. Pensiamo, ad esempio, a situazioni nelle quali la nuova generazione guardi altrove e decida di intraprendere nuove strade. Pensiamo alle realtà in cui non c’è coesione e i conflitti familiari minano l’ecosistema aziendale, ovvero alla complessità dei mercati e alla correlata mancanza di capacità di affrontarli.
L’elenco sarebbe molto ampio, ma vogliamo rivolgere l’attenzione su un altro punto facendo una piccola riflessione che possiamo così brevemente compendiare: a prescindere da quale sarà la strada intrapresa o da intraprendere (eredi che proseguono l’attività oppure cessione dell’azienda) il buon risultato è direttamente proporzionale al modo in cui l’imprenditore ha saputo creare valore nel corso della vita aziendale. Un’attività imprenditoriale non può sopravvivere senza comportamenti virtuosi, responsabili e tesi all’accrescimento del valore aziendale. In Italia, il tessuto economico è composto in larga maggioranza da micro e piccole imprese (croce e delizia del nostro sistema economico). Se da una parte questo modello ha permesso al Paese di crescere in autonomia e creatività, dall’altro ha spesso generato una sovrapposizione “pericolosa” tra sfera familiare e aziendale. Non sono pochi, infatti, i casi di imprenditori che considerano l’azienda come un’estensione della famiglia, confondendone ruoli, identità e soprattutto risorse economiche.
Questa visione porta frequentemente a uno degli errori più gravi per la salute dell’impresa: il ribaltamento dei costi familiari sui conti aziendali. Spese personali, costi per il mantenimento del tenore di vita, beni e servizi utilizzati dalla famiglia ma imputati all’azienda diventano un’abitudine. Se non vi è distinzione tra le due sfere, l’impresa perde progressivamente trasparenza, solidità finanziaria e attrattività sul mercato. Si svuota di valore economico reale. Quando arriva il momento di cedere l’azienda (per ragioni strategiche, patrimoniali o per mancanza di eredi interessati) questa perdita di valore si palesa in tutta la sua essenza evidenziando in pieno il suo lato penalizzante. Nessun acquirente serio è disposto a investire in un’impresa con bilanci opachi, marginalità erosa da spese improprie, e governance informale.
Eppure, molti imprenditori si rendono conto troppo tardi che l’azienda, per essere venduta, deve poter “parlare da sola”, con numeri chiari e credibili e non essere solo il riflesso della vita familiare di chi la guida. Creare valore non è un’opzione, è un dovere. Significa gestire l’azienda come un’entità separata dalla famiglia: con contabilità limpida, con un’attenta pianificazione, investimenti mirati, attenzione all’innovazione, alle persone, alla reputazione. Significa costruire, giorno dopo giorno, un’impresa capace di vivere anche senza il suo fondatore, e quindi di essere “desiderabile” per un potenziale acquirente. Il vero atto di responsabilità dell’imprenditore non è tenere l’azienda in famiglia a ogni costo, ma garantire che essa possa avere un futuro. E quel futuro si fonda sulla capacità di trattare l’impresa per quello che è: non un patrimonio privato a cui attingere a proprio piacimento, ma un organismo economico con una sua identità, dignità, autonomia e soprattutto valore.
di Marco Salvati e Cristian Salvatori