Affitti brevi, la rivincita della libertà

giovedì 24 aprile 2025


Il Consiglio di Stato difende i proprietari: i Comuni non possono vietare le locazioni turistiche

Affittare la propria casa, per qualche giorno, a chi visita una città italiana non è un crimine, non è evasione, non è speculazione: è libertà. E in uno Stato di diritto, la libertà non si chiede per favore e non si sospende per decreto. Lo ha ricordato con forza il Consiglio di Stato nella recente sentenza n. 2928/2025, con la quale ha bocciato il regolamento del Comune di Sirmione e, con esso, tutta l’impalcatura ideologica che sta dietro i limiti comunali alle locazioni brevi.

Per i giudici, l’attività di locazione turistica non imprenditoriale è un atto che rientra nel diritto di proprietà e nella libertà contrattuale. Non serve autorizzazione, non serve documentazione aggiuntiva, non serve il benestare di un funzionario. Basta la legge. E quella, al contrario dei regolamenti locali, è chiara: chi possiede un immobile ha il diritto di affittarlo, anche per brevi periodi, senza dover sottostare a vincoli arbitrari imposti da sindaci e assessori in vena di dirigismo.

Il caso nasce da un ricorso contro il regolamento del precetto Comune, che pretendeva di subordinare l’avvio di una locazione turistica a una procedura complessa e vessatoria. Il Tar aveva dato in parte ragione al municipio. Ma i magistrati dell’appello hanno ribaltato tutto: la locazione non è un’attività ricettiva, quindi, non può essere trattata come un albergo. E soprattutto: la competenza a regolare l’uso della proprietà privata non spetta agli enti locali. Né oggi, né mai.

È una decisione che vale inequivocabilmente come un manifesto contro l’arbitrio amministrativo. Nello stesso tempo, è altresì un colpo durissimo per quelle amministrazioni – da Firenze a Bologna, da Venezia a Roma – che hanno tentato di limitare l’affitto breve con regolamenti autoritari, fondati su motivazioni ideologiche mascherate da esigenze urbanistiche o sociali. Si è detto che essi “svuotano i centri storici”, “alzano i prezzi”, “espellono i residenti”. In realtà, quello che infastidisce è che il cittadino agisca in autonomia, senza dover passare attraverso gli apparati statali.

Tale ostilità, come appare chiaro, non nasce dal diritto, ma dal desiderio di controllo. È la stessa logica che vorrebbe decidere dove puoi vivere, con chi, per quanto tempo e a quale prezzo. Ma la casa è un bene privato, non un pezzo di territorio da destinare con l’urbanistica sociale. Il proprietario non è un custode al servizio del piano regolatore: è un cittadino libero.

Non si tratta solo di burocrazia: qui è in gioco un principio fondamentale. Se un Comune può impedirti di affittare per qualche giorno un appartamento che ti appartiene, allora la proprietà non esiste più. È solo un’illusione, revocabile da chi è al potere. È questa la vera posta in gioco. Ecco perché la sentenza non va solo letta: va difesa, applicata, replicata. Va usata come scudo contro ogni nuova invasione del potere locale nella sfera privata.

In una società libera, il mercato non si governa con le delibere. La concorrenza non si soffoca per decreto. Le città non si amministrano impedendo alle persone di usare ciò che possiedono. Lo Stato – e a maggior ragione i Comuni – devono garantire i diritti, non autorizzarli. Nessuna libertà è autentica se dipende dal permesso di un ente pubblico. Nessuna proprietà è piena se non include il diritto di disporre dei propri beni, anche per finalità turistiche.

Serve ribadire un principio tanto semplice quanto ignorato: un diritto che dipende da un permesso non è un diritto. È un privilegio concesso, condizionato, revocabile. E i privilegi non fanno parte della cultura liberale. La proprietà privata, se vuole sopravvivere, non può essere soggetta all’arbitrio amministrativo. O la libertà è reale e difesa dalla legge, o è un’ombra manipolabile dal potere politico di turno.

In conclusione, il vero problema non è l’affitto breve, ma lo Stato lungo. L’invadenza pubblica, il sospetto verso chi si muove liberamente nel mercato, l’idea perversa che la libertà vada regolata perché dà fastidio a chi non l’ha mai sopportata. Ma il diritto, se è tale, deve proteggere il cittadino dal potere, non il contrario. Chi difende i limiti alle locazioni brevi spesso si nasconde dietro la parola “equilibrio”, ma è un equilibrio imposto, che soffoca la spontaneità sociale. Le città non sono enti astratti da conservare in teche, ma organismi vivi, che cambiano, si evolvono, si adattano ai bisogni delle persone. E quando la domanda di soggiorni brevi cresce, vietarla è come vietare il vento.

Lo Stato deve avere l’umiltà di ritirarsi, non l’arroganza di dirigere ogni scelta. Solo così la libertà potrà respirare. Solo così l’Italia potrà essere, davvero, una Repubblica fondata sulla proprietà e sulla responsabilità, non sull’ingerenza e sull’autorizzazione permanente. È sempre bene ricordare che il diritto di proprietà non è una concessione del legislatore. Esso esiste prima dello Stato e al di sopra dello Stato.


di Sandro Scoppa