Una analisi teorica dell’utilizzo dei dazi

giovedì 24 aprile 2025


I dazi doganali costituiscono uno strumento tradizionale e storicamente rilevante di politica economica e commerciale, applicato dagli Stati per regolare i flussi di beni tra economie diverse. Essi si configurano come imposte indirette che colpiscono le merci importate (e, più raramente, esportate) incidendo direttamente sul prezzo finale del bene al momento dell’ingresso nel mercato interno.

Il principale obiettivo attribuito ai dazi è la protezione dell’apparato produttivo nazionale, attraverso un meccanismo che altera artificialmente la competitività dei beni esteri, rendendoli meno convenienti rispetto ai prodotti locali. In un contesto di libero scambio, le economie tendono a specializzarsi in base al principio del vantaggio comparato, come teorizzato da David Ricardo, secondo il quale ogni Paese dovrebbe concentrarsi nella produzione di quei beni per i quali detiene una maggiore efficienza relativa. Tuttavia, abbiamo già avuto modo di rilevare, in un precedente articolo sempre pubblicato su questa testata, che non sono poche le condizioni debbono sussistere affinché il libero scambio (intendendo questo con un commercio internazionale privo di barriere tra gli stati) avvantaggi in egual misure entrambi i Paesi. In realtà sono molte le condizioni necessarie affinché un’area di libero scambio porti vantaggi a tutti i Paesi coinvolti.

Tuttavia, nella generale accettazione dei benefici di una economia votata al libero scambio, l’introduzione dei dazi rappresenta una deroga al principio, giustificata da motivazioni economiche, politiche o strategiche.

Le forme più comuni di dazi comprendono quelli ad valorem, calcolati come percentuale del valore della merce, i dazi specifici, che si applicano in misura fissa per unità di prodotto, e le forme miste, che combinano entrambi i criteri. Accanto a questi vi sono i dazi antidumping, concepiti per contrastare pratiche di esportazione a prezzi inferiori al costo di produzione, e i dazi compensativi, pensati per neutralizzare gli effetti distorsivi di sussidi pubblici erogati nel Paese di origine delle merci. La determinazione del dazio avviene sulla base del valore in dogana, che include il prezzo di transazione del bene, i costi di trasporto, l’assicurazione e gli oneri accessori fino al punto di ingresso nella giurisdizione doganale.

L’effetto economico più immediato dei dazi è l’aumento del prezzo dei beni importati, che si traduce in una protezione temporanea per i produttori locali, i quali beneficiano di una ridotta pressione concorrenziale da parte di operatori stranieri.

Tuttavia, va detto che questa protezione comporta una serie di costi sistemici, sia in termini di benessere del consumatore, che vede ridotto il proprio potere d’acquisto, sia in termini di efficienza produttiva generale, poiché il mantenimento artificiale di attività economicamente inefficienti comporta uno spreco di risorse. Più in dettaglio, secondo l’analisi del benessere economico, l’introduzione di un dazio genera una perdita secca (deadweight loss) rappresentata da un trasferimento non ottimale di risorse, visibile graficamente nel classico diagramma domanda-offerta con surplus del produttore e del consumatore.

Va detto inoltre che i dazi possono essere una fonte di entrata per lo Stato, particolarmente rilevante nei Paesi in via di sviluppo, dove il sistema fiscale può essere debole o frammentato.

L’analisi, seppur molto semplificata fin qui fatta, deve anche ricordare che l’efficacia dei dazi come strumento di protezione è fortemente condizionata dal contesto internazionale. In un’economia globalizzata, in cui le catene del valore sono sempre più integrate, l’imposizione di barriere tariffarie rischia di generare effetti boomerang, danneggiando anche i produttori nazionali che dipendono da input esteri.

Inoltre, la teoria economica moderna evidenzia come le politiche protezionistiche possano innescare reazioni simmetriche da parte dei Paesi partner, avviando pericolose spirali di ritorsioni commerciali. Un esempio paradigmatico è rappresentato dalla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina avviata nel 2018, durante la quale i reciproci aumenti tariffari hanno colpito settori strategici, determinando tensioni finanziarie e incertezza sui mercati globali.

Oltre agli effetti economici diretti, i dazi possono avere implicazioni geopolitiche significative, venendo impiegati come strumenti di pressione o negoziazione in ambito diplomatico. Essi possono, inoltre, rispondere a obiettivi di natura non economica, come la tutela ambientale o la sicurezza nazionale, benché in questi casi la loro efficacia sia controversa.

Dal punto di vista teorico, il dibattito sull’uso dei dazi è ricco e articolato. Mentre la scuola neoclassica, a partire da Adam Smith fino a Paul Samuelson, ha sempre enfatizzato i vantaggi del libero scambio, scuole più recenti come quella del “nuovo protezionismo” riconoscono l’utilità dei dazi in alcune circostanze, come nelle fasi iniziali di sviluppo industriale (teoria dell’industria nascente di Friedrich List) o in settori soggetti a esternalità positive. Nella sostanza la nuova scuola economica riconosce i dazi come strumento utile per politiche mirate per correggere fallimenti del mercato, promuovere lo sviluppo industriale e proteggere interessi strategici, dove la chiave sta nella temporaneità, selettività e coordinamento con obiettivi di lungo termine (innovazione, sostenibilità, sicurezza economica).

È altresì rilevante il ruolo delle istituzioni sovranazionali, come l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), che limita l’uso arbitrario dei dazi attraverso accordi multilaterali e meccanismi di risoluzione delle controversie.

Nella pratica, tuttavia, molti Paesi continuano a ricorrere a dazi selettivi come strumento di gestione degli equilibri commerciali e della bilancia dei pagamenti. Un esempio concreto può essere rappresentato dal settore agricolo, in cui numerosi Stati mantengono alti livelli di protezione per salvaguardare l’autosufficienza alimentare e la stabilità dei redditi rurali. Altro esempio può venire dal settore dell’automobile. Consideriamo il caso ipotetico di un dazio del 25 per cento applicato a veicoli importati in un Paese X: tale misura, sebbene possa incentivare l’acquisto di auto prodotte internamente, comporta un aggravio di spesa per i consumatori, una riduzione della varietà di offerta e, nel medio-lungo periodo, un possibile rallentamento dell’innovazione tecnologica nel settore domestico.

Infine, è fondamentale sottolineare che l’impatto dei dazi varia in funzione della struttura produttiva del Paese che li impone, del grado di apertura dell’economia, dell’elasticità della domanda dei beni interessati e della presenza di accordi commerciali preferenziali.

In sintesi, i dazi doganali sono strumenti complessi e ambivalenti: da un lato offrono protezione e stabilizzazione, dall’altro comportano inefficienze, distorsioni e rischi geopolitici. La loro applicazione richiede quindi un’analisi attenta e multidimensionale, fondata su criteri economici, giuridici e strategici, che tenga conto sia delle esigenze interne sia delle dinamiche del sistema commerciale globale.

(*) Economista


di Enea Franza (*)