martedì 22 aprile 2025
La Cassazione legittima i regolamenti condominiali che vietano i b&b, cancellando la sovranità individuale e il diritto di proprietà
Se anche tra le mura domestiche la libertà d’uso viene subordinata alla volontà altrui, il dominio individuale non è più un diritto: è una mera illusione. La recente ordinanza n. 2770/2025 della Cassazione, che vieta l’attività di bed & breakfast in condominio sulla base di una clausola regolamentare, certifica una tale deriva, che si traduce in un evidente arretramento dello spirito liberale, giustificato solo formalmente in nome della convivenza forzata.
C’è un punto in cui il diritto civile smette di essere garanzia e diventa ostacolo. È quel punto in cui la funzione regolativa travalica la libertà e il vincolo contrattuale si trasforma in una gabbia. La decisione dell’alta magistratura segna proprio questo passaggio. Una clausola regolamentare del 1930, fondata su una normativa abrogata da oltre settant’anni e redatta in un contesto storico e sociale profondamente diverso, viene oggi interpretata come un limite assoluto all’uso dell’alloggio da parte di un conduttore, impedendogli di esercitare un’attività lecita e priva di impatti rilevanti, come l’ospitalità temporanea.
La Corte ha ritenuto che tale clausola, trascritta nei registri immobiliari, sia opponibile anche al conduttore, assimilando così una disposizione generica a una servitù. Ma il punto non è solo tecnico, bensì culturale e politico. Si legittima un potere normativo interno, esercitato da una maggioranza condominiale, che finisce per prevalere sulla libertà individuale. E ciò senza un effettivo controllo giurisdizionale di proporzionalità o di attualità del vincolo.
Nella visione liberale, la disponibilità esclusiva dei beni è lo scudo dell’individuo contro ogni ingerenza esterna. È libertà di escludere, usare, disporre. Senza un simile presidio, la società si trasforma in un contesto in cui non esistono confini certi tra ciò che è proprio e ciò che è altrui, con l’inevitabile dissoluzione della libertà stessa.
La nostra tradizione civilistica, sin dalle origini romanistiche, ha tutelato la titolarità piena ed esclusiva del singolo. Ma oggi l’autonomia patrimoniale è sempre più subordinata a esigenze collettive indefinite. Così, basta un regolamento vetusto e ambiguo per svuotare l’essenza del diritto di godimento. E quando ciò si applica anche a chi non ha sottoscritto quella regolamentazione, come il conduttore, si realizza una compressione indebita della libertà negoziale. In contrasto, peraltro, con l’articolo 1138 del Codice civile, che prevede l’opponibilità solo per gli acquirenti successivi, non per i locatari. E l’articolo 1372 del Codice civile esclude che il contratto produca effetti verso terzi. Stravolgere tali principi significa elevare il regolamento a rango di legge e ridurre la legge a pura formalità.
Va anche considerato che nella fattispecie nessuna norma statale vietava il b&b, né vi erano elementi concreti di disturbo o alterazione dell’uso abitativo. Eppure l’attività è stata vietata in forza di un’interpretazione estensiva e restrittiva. Così, ciò che dovrebbe essere presidio della libertà – il diritto civile – si fa strumento dell’omologazione. Il principio della disponibilità viene sovvertito: chi è titolare non decide più.
In una società libera, fondata su un’economia di mercato e su un ordinamento aperto, la legge è misura e garanzia. La vita condominiale non può diventare giungla di divieti imposti in nome di paure collettive. L’autonomia contrattuale, se assolutizzata, degenera in servitù. E le servitù, quando si moltiplicano e si radicalizzano, annientano la funzione del patto. In questo quadro, la proporzionalità dovrebbe essere il criterio guida: ogni limitazione al potere di godimento dovrebbe essere strettamente necessaria e giustificata da ragioni concrete, non presunte o astratte.
Dietro il richiamo alla “destinazione abitativa” si nasconde la vera posta in gioco: la paura per la libertà altrui. Gli Ermellini, nella decisione sopra indicata, hanno infatti assimilato l’attività di bed & breakfast a quella di “casa di alloggio”, ritenendola incompatibile con la clausola regolamentare che vieta tale utilizzo, anche se si tratta di ospitalità saltuaria e priva di finalità imprenditoriali. È stato così affermato che il regolamento, se di natura contrattuale e trascritto, vincola anche il conduttore, il quale deve conformarsi alla destinazione d’uso stabilita collettivamente. Ma accogliere, ospitare, avviare un’attività non sono atti di rottura, bensì espressioni dell’autonomia personale. E quando l’ordinamento colpisce queste forme minime di iniziativa, non protegge la coesistenza: ne distrugge il fondamento.
I supremi giudici hanno agito nel rispetto della legge formale. Ma una legge svuotata dello spirito liberale diventa puro strumento di potere. Così, l’inviolabilità dello spazio proprio, fondamento della sovranità individuale, si logora. Oggi si vietano i b&b e gli affitti brevi. Domani sarà il lavoro da remoto. Poi un’attività creativa. In una casa dove tutto è proibito, che cosa resta, in realtà, della casa?
In definitiva, nessuna esigenza regolatoria può legittimare l’esproprio delle facoltà essenziali su ciò che è proprio. Nessun decoro può giustificare l’invasione della sfera personale. La libertà esiste solo se protetta nella sua manifestazione più concreta: l’uso pieno e pacifico della propria abitazione.
Tutelare l’autonomia nella sfera domestica non è un gesto nostalgico, ma un’espressione autentica di progresso. La piena disponibilità dei beni garantisce l’esistenza del cittadino libero, mentre quando è la collettività a imporre i criteri d’uso dello spazio privato, riaffiora la figura del suddito. E una società composta da sudditi, per quanto ordinata, non sarà mai una società libera. L’intangibilità della sfera individuale non è un principio astratto, ma la condizione operativa di qualunque ordinamento che voglia dirsi liberale. Quando tale condizione viene meno, subentra l’arbitrio: la libertà non è più un diritto, ma una concessione revocabile, sottoposta alla discrezione altrui. Se l’indipendenza viene soffocata da vincoli impliciti, da norme anacronistiche o da paure convertite in regole, allora il declino non è solo normativo: è anche morale.
È il segno tangibile dello smarrimento della sovranità personale. Difenderla, oggi, non è soltanto necessario: è urgente. Ha scritto William Blackstone, nel suo celebre Commentaries on the Laws of England: “Tanto è grande, inoltre, il rispetto della legge per la proprietà privata, che essa non autorizzerà la minima violazione di essa; no, neppure per il bene generale dell'intera comunità”. Ossia, La legge, se vuole restare fedele alla sua funzione di argine contro ogni arbitrio, deve continuare a tutelare la proprietà come garanzia concreta dell’autonomia individuale. Altrimenti non è più legge: è dominio.
di Sandro Scoppa