Petrolchimica italiana: cronaca di un declino storicamente indotto

giovedì 10 aprile 2025


In un’involuzione storica dell’industria petrolchimica italiana così evidente, non può non venire in mente cosa penserebbe oggi il grande Enrico Mattei, se fosse in vita, dinanzi a tale misfatto, di fronte a uno stato dell’arte in oggetto così desolante, soprattutto dopo i notevoli sforzi che egli fece per rendere l’Italia autonoma da un punto di vista dell’approvvigionamento energetico e decisiva a livello mondiale da un punto di vista produttivo. Forse, proprio per l’audace patriottismo e per gli interessi in gioco che ledevano quelli della cosiddetta “perfida Albione”, il progettò fallì con la sua dipartita e non fu mai più ripreso dai successori di Mattei. Il 2025 si prospetta come un anno cruciale per l’industria chimica europea, un settore fondamentale che sta vivendo uno dei periodi più turbolenti della sua storia recente. In particolare, l’Italia si trova ad affrontare un cambiamento radicale, a seguito della decisione del Governo Meloni e di Eni di chiudere la produzione chimica di base di Versalis in alcuni dei suoi principali impianti italiani: quelli siciliani di Priolo e Ragusa, e a Brindisi, in Puglia. La chiusura di questi impianti rappresenta un passaggio simbolico e concreto di una trasformazione profonda nel panorama industriale del nostro Paese, una trasformazione che potrebbe definire il futuro del settore per i prossimi decenni. L’industria chimica italiana è stata a lungo una delle colonne portanti dell’economia nazionale, contribuendo significativamente al Pil con una cifra che sfiora i 67 miliardi di euro.

Questo la rende la terza industria chimica più importante d’Europa. Tuttavia, nonostante il suo peso economico, il settore ha attraversato decenni di difficoltà che non sono mai stati completamente superati. Come evidenziato da Federchimica, l’associazione di categoria, la quota della chimica europea nelle vendite globali è scesa dal 28 al 13 per cento negli ultimi venti anni, un dato che testimonia non solo un rallentamento del mercato europeo, ma anche una perdita di competitività nei confronti di Paesi con costi di produzione più bassi e politiche industriali più favorevoli. Il declino dell’industria chimica europea non è un fenomeno isolato, in quanto esso riflette tendenze globali, ma in Europa il processo si è manifestato con particolare evidenza, soprattutto in Italia, dove il settore ha dovuto fare i conti con una normativa ambientale severa, un elevato costo dell’energia e della manodopera, e impianti inadeguati rispetto a quelli dei principali concorrenti mondiali, in Medio Oriente, Asia e Stati Uniti. La chiusura degli impianti di Versalis non è una decisione presa di recente, ma arriva dopo anni di difficoltà economiche e strutturali che hanno messo in crisi l’intero modello produttivo. Versalis, controllata da Eni, è stata per anni uno degli attori principali nel panorama della chimica di base in Italia. Tuttavia, con il passare degli anni, il settore è diventato sempre meno competitivo. In particolare, le perdite economiche accumulate, che secondo alcune stime ammontano a circa 7 miliardi di euro negli ultimi 15 anni, hanno imposto un ripensamento radicale del modello industriale. Il processo produttivo che veniva utilizzato negli impianti di Priolo, Ragusa e Brindisi, ovvero il cracking, è ormai considerato obsoleto da molti esperti.

Questo processo, che separa gli idrocarburi per produrre i prodotti chimici di base, è stato messo sotto pressione dalle normative ambientali europee, che hanno alzato il livello degli standard richiesti, e dai costi crescenti delle materie prime e dell’energia. Con il piano industriale 2025-2029, Eni ha scelto di ridurre la propria esposizione alla chimica di base e di concentrarsi su settori più innovativi, come le bioplastiche, l’economia circolare e la produzione di polimeri biodegradabili. Secondo Adriano Alfani, amministratore delegato di Versalis, la decisione è legata alla crescente difficoltà di mantenere competitivo il settore della chimica di base. “I nostri impianti operano spesso sotto il 70 per cento della capacità”, ha dichiarato, sottolineando che l’alto costo delle risorse e la scarsa dimensione degli impianti, rispetto ai colossi industriali di Medio Oriente e Stati Uniti, hanno reso insostenibile la continuazione di questa attività. La strategia di Eni con Versalis è quindi quella di “svecchiare” l’industria chimica italiana, cercando di spostarsi verso filiere più alte della catena del valore, che richiedono maggiori competenze tecnologiche e possono rispondere meglio alle esigenze di un mercato sempre più attento alla sostenibilità ambientale. In un contesto dove la chimica di base diventa sempre meno redditizia, l’orientamento verso bioplastiche e materiali biodegradabili rappresenta un’opportunità per reinvestire nel futuro del settore. L’intero settore chimico italiano si trova oggi in un panorama contraddittorio, le difficoltà strutturali sono evidenti.

Per esempio, aziende come Radici, uno dei principali gruppi italiani nel settore chimico, sono costrette a vendere le proprie divisioni a fondi di private equity come Lone Star, dimostrando come l’alta richiesta di capitali per gli investimenti strategici stia mettendo in crisi molte realtà industriali. Dall’altro, ci sono aziende che, pur operando in nicchie di mercato, sono riuscite a mantenere la loro competitività, come Mapei, leader nel settore chimico per l’edilizia, e Siad e Sapio, che si occupano di gas industriali, continuano a crescere e a competere in un mercato sempre più dominato dai grandi colossi europei, in particolare tedeschi. La chiusura degli impianti di chimica di base, pur rappresentando una dolorosa perdita per il settore, non deve essere vista come il segno della fine della chimica in Italia. Pertanto, la riduzione della produzione di materie prime chimiche avrà degli impatti diretti sul sistema produttivo, ma non necessariamente condurrà a un collasso e le imprese italiane che operano in settori più specializzati, come le bioplastiche o i materiali innovativi, potrebbero trarre vantaggio da questa transizione, creando nuove opportunità di mercato. L’industria chimica italiana, sebbene afflitta da un declino generalizzato, continua a essere una parte fondamentale dell’economia nazionale, ma le sfide non sono finite, in quanto l’industria ha anche la possibilità di reinventarsi e di adattarsi ai cambiamenti globali.

Invero, la chiusura della chimica di base potrebbe rappresentare un’occasione per orientarsi verso un modello industriale più sostenibile e competitivo, dove l’innovazione tecnologica e la ricerca di soluzioni più ecologiche diventeranno i pilastri su cui costruire il futuro del settore. Al postutto, la chimica italiana si trova a un bivio, nel senso che da un lato la chiusura della produzione di chimica di base da parte di Versalis potrebbe segnare la fine di un’era, di contro potrebbe anche rappresentare il punto di partenza per una nuova fase del settore. Quindi, l’Italia solamente se riuscirà a orientarsi verso l’innovazione tecnologica, l’economia circolare e la sostenibilità, potrà conservare un ruolo competitivo e strategico a livello internazionale, perché sebbene delle grandi difficoltà sussistano, la capacità di adattarsi ai cambiamenti globali e alle nuove sfide industriali potrà ancora fare la differenza.


di Fabrizio Valerio Bonanni Saraceno