martedì 8 aprile 2025
Ho conosciuto Michele Boldrin una quindicina di anni orsono. Ho scambiato con lui, di quando in quando, qualche parere sui vari social. Malgrado il suo approccio risulti a volte un po’ spigoloso, considero le sue analisi economiche particolarmente illuminanti e da tenere sempre in considerazione. In questo senso, in suo video postato su YouTube alcuni giorni fa, egli spiega in modo chiaro ed esauriente il perché la politica dei dazi adottata da Donald Trump sia una pura e semplice follia. Una follia che, come ampiamente sostenuto da altri osservatori, in primis si ritorcerà contro gli stessi americani, segnatamente quei ceti sociali che il Tycoon sostiene di voler avvantaggiare. In estrema sintesi, l’economista veneto, naturalizzato statunitense, coglie nella dichiarata strategia economica del trumpismo, orientata riportare in America buona parte di ciò che viene prodotto all’estero, in una sorta di isolazionismo commerciale, un elemento che ne vanifica alla base ogni possibilità di riuscita. Secondo Boldrin, infatti, attualmente i cittadini statunitensi, grazie alla forza del dollaro, godono di una posizione unica nel mondo, potendo acquistare prodotti finiti e semilavorati a un prezzo molto conveniente, dato che questi ultimi vengono realizzati in Paesi a basso reddito pro capite e, di conseguenza, con un costo del lavoro altrettanto basso, improponibile nella più grande e sviluppata economia mondiale.
Ciò significa, secondo il nostro, che buona parte degli stessi beni non più importati, ma prodotti negli States, arriverebbero a costare letteralmente il doppio. Tutto questo determinerebbe una perdita reale del potere d’acquisto degli americani nell’ordine del 20-25 per cento. Una vera e propria catastrofe, ha commentato Boldrin. Inoltre, anche nei riguardi della necessità di ridurre drasticamente il disavanzo commerciale degli Stati Uniti, strettamente legato a quanto detto sopra, l’ex presidente di Fare per fermare il declino individua un elemento assolutamente critico, almeno nel breve e nel medio periodo. In parole povere, dato che una certa parte dell’avanzo commerciale viene utilizzato da chi ne beneficia, su tutti la Cina, per acquistare debito pubblico statunitense, se si abbatte brutalmente lo stesso disavanzo commerciale, si riduce di conseguenza la propensione di chi esporta molto in America a comprare i bond dello Zio Sam. Da tutto questo si evidenzia un chiaro e manifesto autolesionismo che, secondo Boldrin, la propaganda trumpista non riuscirà a tenere nascosto a lungo una volta che gli effetti concreti delle sue scelte si faranno sentire sulla pelle dei suoi concittadini.
L’economista non nega assolutamente l’esistenza di un’inaccettabile asimmetria tariffaria e doganale tra gli Stati Uniti e il resto del mondo, tra cui una Unione europea che pratica un variegato e diffuso protezionismo che, un po’ troppo spesso, tende a salvaguardare settori inefficienti e poco produttivi, i cui costi alla fine della fiera ricadono sugli ignari consumatori del Vecchio continente. Ciò che Boldrin contesta, e in questo mi trova totalmente d’accordo, è lo strumento forsennato scelto da Trump per affrontare la complessa questione, ossia quello di imporre dazi feroci realizzati sulla base di calcoli piuttosto semplicistici, soprattutto nell’ambito di un’economia mondiale sempre più integrata e interconnessa. Da questo punto di vista, in sintonia con l’economista, credo anch’io che imporre una analoga ritorsione da parte dell’Europa sia una pessima idea, proprio in considerazione della citata asimmetria esistente da tempo a vantaggio delle nostre esportazioni. In tal senso, conclude Boldrin, una strada praticabile potrebbe essere quella di fare la globalizzazione senza l’America, adottando accordi ragionevoli con chi ci sta sulla base del reciproco interesse. Una semplice provocazione? Chissà, staremo a vedere.
di Claudio Romiti