Il piano casa di Nardella: un fallimento da 700mila euro

venerdì 14 marzo 2025


Un progetto costoso e inutile, contrario alle leggi dell’economia, chiuso in silenzio senza risultati concreti

La storia degli sprechi pubblici italiani è lunga e costellata di progetti assurdi e fallimentari, finanziati con denaro dei contribuenti e conclusi con un nulla di fatto. Basti pensare alla faraonica digitalizzazione della Pubblica amministrazione, che ha inghiottito miliardi senza migliorare realmente i servizi ai cittadini, o alle decine di infrastrutture inutilizzate, come l’incompiuta Città dello Sport di Tor Vergata o i faraonici ospedali mai entrati in funzione. E come dimenticare i famosi banchi a rotelle acquistati durante la pandemia di Covid-19? Un investimento di milioni di euro per un’idea fallimentare, che ha prodotto solo sprechi senza alcun beneficio per il sistema scolastico. A ogni fallimento, nessuno paga, nessuno si assume la responsabilità e tutto prosegue come se nulla fosse. Il caso del progetto Fare (Firenze: abitare solidale per l’empowerment di comunità) si inserisce perfettamente in questa lunga tradizione di denaro pubblico sperperato senza risultati.

Solo in Italia, infatti, un’amministrazione pubblica può sperperare 700mila euro di soldi pubblici senza che nessuno ne risponda. Il caso del progetto Fare è emblematico di una gestione irresponsabile delle risorse e di un’ideologia che, nel tentativo di imbrigliare il mercato immobiliare con la burocrazia, finisce per produrre il nulla. Era il 2020 quando l’allora sindaco di Firenze, Dario Nardella, presentava con enfasi questa iniziativa come una svolta per l’accesso alla casa per le famiglie in difficoltà. L’idea? Creare una piattaforma che mettesse in contatto domanda e offerta di alloggi a canoni calmierati. Una promessa fondata sulla speranza che i proprietari di casa avrebbero messo a disposizione i propri immobili sotto il controllo pubblico, con la garanzia di un apparato amministrativo inefficiente.

Oggi, dopo quattro anni, la realtà presenta un conto impietoso. L’assessore al Welfare Nicola Paulesu ha dovuto ammettere il fallimento del progetto: nessun contratto concluso, nessun beneficio per i cittadini, solo un cospicuo spreco di denaro pubblico. Ciò che stupisce ancora di più è il tentativo del Comune di insabbiare la vicenda. La chiusura del progetto, in realtà, non è stata comunicata ai fiorentini, e solo grazie a un’interrogazione del consigliere comunale di Fratelli d’Italia, Matteo Chelli, è emersa la verità. Il programma, finanziato con oltre mezzo milione di euro provenienti dalle casse comunali e con altri 200mila euro di fondi europei, avrebbe dovuto agevolare l’accesso alla casa per chi aveva un Isee compreso tra i 12mila e i 40mila euro. Ma, sin dall’inizio, i paletti imposti erano troppo rigidi e i proprietari non si sono fidati delle garanzie offerte dal Comune. L’amministrazione prometteva incentivi economici, come un contributo di 3mila euro per la messa a norma degli immobili e una copertura fino a 12 mensilità in caso di morosità, oltre alla riduzione dell’Imu. Tuttavia, nel mondo reale, chi possiede un immobile non si affida a una macchina burocratica lenta e inefficace per gestire i propri affari. Risultato? Il progetto non ha trovato aderenti e si è rivelato un autentico flop. L’ennesima dimostrazione che il settore immobiliare non ha bisogno di essere imbrigliato da politiche paternalistiche e iniziative fallimentari, ma di libertà, sicurezza giuridica e incentivi reali per chi investe. Lo Stato non può trasformare con un colpo di bacchetta magica il mercato della casa in un’appendice della sua inefficienza.

Un proprietario non affitta sulla base di promesse politiche, ma sulla certezza di norme chiare e sul rispetto della proprietà privata. Ed è proprio quest’ultima a essere sotto attacco con iniziative come queste: si pretende di utilizzare risorse pubbliche per distorcere il mercato, ma i risultati sono sempre gli stessi, con fallimenti prevedibili. Eppure, certi ambienti politici e sindacali continuano a credere che sia lo Stato a dover regolare il mercato della casa, ignorando il principio fondamentale per cui un proprietario affitta solo se ha fiducia nella solidità delle regole e nella libertà contrattuale. Invece di prendere atto di questo fallimento, il governatore toscano Eugenio Giani rilancia l’idea di un nuovo piano casa finanziato con il Pnrr. Ancora una volta, si vogliono disperdere fondi pubblici in un progetto che nasce con le stesse premesse sbagliate di quello di Nardella. Il fallimento di Fare non è tuttavia un caso isolato, ma un paradigma delle politiche abitative stataliste che pretendono di forzare il mercato a obbedire a direttive burocratiche e ideologiche. La casa non si crea con le delibere comunali né con piattaforme digitali costate centinaia di migliaia di euro, ma con la libera iniziativa, il rispetto della proprietà e la certezza del diritto. Il mercato immobiliare funziona quando è lasciato libero di operare secondo le leggi della domanda e dell’offerta, non quando viene manipolato da amministratori pubblici che giocano con i soldi dei contribuenti senza alcuna responsabilità per gli sprechi.

La lezione di Firenze è chiara: è necessario lasciar fare al mercato invece di creare costosi carrozzoni destinati all’oblio. Il caso Fare è solo l’ennesima dimostrazione che ogni tentativo di piegare l’economia alla politica finisce per affondare nella palude dell’inefficienza pubblica. E intanto, mentre i soldi vengono sprecati, chi cerca casa continua a dover fare i conti con un mercato sempre più rigido a causa di regolamentazioni inutili e misure che scoraggiano gli investimenti privati. La libertà di scelta e il rispetto della proprietà privata sono gli unici strumenti capaci di garantire un mercato immobiliare sano e funzionale. Come ha scritto Frédéric Bastiat: “Lo Stato è quella grande finzione attraverso la quale tutti cercano di vivere alle spalle di tutti”. Ecco, il piano casa di Nardella ne è stata l’ennesima dimostrazione.


di Sandro Scoppa