Riconvertire e riassumere

venerdì 14 marzo 2025


La guerra “giusta” del sindacato

Ma sì, in fondo, teniamocelo stretto questo Vladimir Putin. Che, con la scusa della minaccia imminente e delle invasioni possibili, anzi probabili, in territorio Nato, sta ridando speranza a un’Europa che non sa più come garantire lavoro, benessere e prosperità (si dice così, no?) ai suoi cittadini. In questo senso, il paragone con i dittatori del passato è corretto. È innegabile, infatti, che dopo 80 anni dalla fine della guerra, Adolf Hitler e Benito Mussolini restino tra le aziende più virtuose d’Europa, capaci di dare lavoro ancora a tanta gente, assicurando un’occupazione stabile e soprattutto carriere garantite a chi cerca disperatamente di accreditarsi dalla parte giusta della storia, senza tuttavia analizzare davvero nel profondo le ragioni storiche, sociali, economiche e anche spirituali, se non addirittura messianiche, che portarono il Vecchio continente a creare in soli 25 anni non solo cinque dittature, ma anche due guerre mondiali, campi di sterminio, gulag e foibe, e due bombe atomiche su un Giappone già arreso (a proposito dei famosi valori dellOccidente).

Lo zar è divenuto il pretesto perfetto per ricompattare un progetto unionista che aveva disperatamente bisogno di un casus, ovviamente belli, per andare al di là di ogni utopia tecnica e tecnocratica, che oggi è divenuta tecno-bellicista. Il super progetto della difesa Ue sta diventando centrale anche nella necessità di riconvertire tanti settori decotti in una produzione militare che non avrebbe precedenti nella storia, e che soprattutto potrebbe dare un lavoro molto ben retribuito a chi in questo momento sconta la crisi evidente di alcuni settori. E che rimette in discussione ogni certezza. Prendete i sindacati, per esempio, così pacifici, pacifisti e pacificatori. I tempi cupi, tuttavia, stanno imponendo anche a loro una variazione sullo spartito. Pacifisti sì, ma fino a un certo punto. Soprattutto se un’economia di guerra può scongiurare licenziamenti o piazzare disoccupati in lavori militarmente utili. È successo negli Stati Uniti dopo Pearl Harbour, succederà anche da questa parte dell’Atlantico. E se si convincono pure i sindacati, allora è fatta. Il Belgio, che resta sempre un non trascurabile laboratorio politico e sociale, ancora una volta fa da apripista a un’attitudine sindacale meno disposta a sventolare la bandiera arcobaleno e più incline al motto pecunia non olet.

La Thales Alenia Space di Charleroi ha avviato un piano di licenziamenti che interessa fino a 600 persone. Le prime convocazioni presso l’ufficio delle risorse umane sono arrivate alla fine della scorsa settimana. Anche per l’azienda francese, che in Belgio produce satelliti nel sito di Mont-sur-Marchienne la fase di “ristrutturazione” significa esuberi e tagli occupazionali. Da anni la divisione spaziale di Thales versa in gravi difficoltà. I satelliti prodotti dalla multinazionale hanno perduto quote di mercato, a differenza del ramo difesa, che sta ottenendo risultati migliori nel contesto della guerra in Ucraina e del riarmo dell’Europa. A Liegi, infatti, è stata inaugurata una nuova linea di assemblaggio di missili. E allora eccola l’intuizione che mette tutti d’accordo. Perché la Thales non pensa a riconvertire il sito di Charleroi avviando la produzione di materiale bellico? Se lo chiede il sindacato, ma in particolare la Csc, che sta per Confédération des syndicats chrétiens (cristiani). Il virgolettato è di Philippe Albert, delegato Csc interpellato dalla radio pubblica Viva Cité: “In passato, avevamo attività militari. C’è ora il desiderio all’interno del gruppo di mantenere un’attività a lungo termine? Spero di sì, ma non vedo perché non potremmo seriamente considerare la possibilità di tornare all’attività militare qui a Charleroi”. E non sembra davvero essere una posizione personale perché la Rtbf assicura che la questione verrà discussa nel prossimo comitato aziendale. Il tema è all’ordine del giorno. Altro che resistere, resistere, resistere. Per restare vivi bisogna riconvertire, riconvertire, riconvertire. E sperare che gli altri continuino a giocare con i soldatini.

La guerra, che toglie speranza e futuro, può invece restituirlo quel futuro a centinaia di lavoratori che dovranno quindi sperare che in Ucraina ci si continui a scannare, per legittimare il nuovo sistema difensivo Ue e dunque la creazione di nuovi posti di lavoro. Bell’impiccio. È molto probabile che occorrerà farsene una ragione: la guerra, che sia fredda, calda o ibrida, annunciata, minacciata o dichiarata, dà il pane. E sta ridando ora una possibilità a chi dovrà produrre quelle stesse armi che invece la speranza e la vita toglieranno ad altri lavoratori “riconvertiti” nelle trincee. Cinico opportunismo o pragmatismo necessario? Mors tua vita mea. Quindi che si fa? Lasciamo passare il messaggio “più Europa, più guerra, più lavoro”? Si sciopera a favore dell’impegno dell’Ue nel conflitto? Si grida “lunga vita a Putin!”, perché così, forse, mi ridanno un lavoro e continuo a pagare il mutuo? Si dice che un sindacalista vero debba trattare anche con il diavolo. Ma non per il diavolo. Anche lui riconvertito: oltre alle pentole si è messo a fare pure i coperchi.


di Pierpaolo Arzilla