mercoledì 29 gennaio 2025
È diventato ormai uno strumento per tutte le stagioni e tutti gli scopi
Nelle ultime settimane si è parlato molto di Golden Power. Lo si è fatto in termini generali (“sta funzionando, e lo dimostra il fatto che l’abbiamo utilizzato con sapienza, responsabilità e sempre in maniera efficace”, ha detto il ministro Adolfo Urso). E lo si è fatto in relazione ai casi che hanno agitato le cronache finanziarie e industriali: per esempio l’opa lanciata da Unicredit sul Banco popolare di Milano alla fine dell’anno scorso e l’offerta pubblica di scambio di Monte dei paschi di Siena su Mediobanca, oltre alla joint venture tra Generali e Natixis nel settore assicurativo. Ma lo si è fatto anche di fronte alla crisi industriale di Beko, un produttore di lavatrici che aveva rilevato gli asset italiani di Whirlpool.
Queste storie hanno apparentemente poco a che vedere l’una con l’altra: si tratta di vicende molto differenti, che coinvolgono aspetti distinti e hanno impatti attesi, sia diretti sia indiretti, completamente diversi. Hanno però due cose in comune: la prima è che hanno visto il governo brandire, o minacciare di brandire, o essere tirato per la giacchetta affinché brandisse, la clava del Golden Power; la seconda è che in nessuno di questi casi le motivazioni addotte hanno alcunché a che fare con la sicurezza nazionale. Eppure, i poteri speciali dati a Palazzo Chigi in materia di operazioni societarie erano stati pensati, giustificati e motivati proprio con l’argomento che occorre uno strumento eccezionale per tutelare gli interessi generali del paese, che non sempre vengono catturati dai prezzi di mercato degli asset. Invece, il Golden Power è stato invocato o impiegato con finalità, peraltro non nascoste, di tutt’altro segno: proteggere l’italianità di questo, garantire l’indipendenza di quello, tutelare l’occupazione negli stabilimenti produttivi di quell’altro.
Quali che fossero gli obiettivi originari del Golden Power, esso è diventato ormai uno strumento per tutte le stagioni e tutti gli scopi. È più facile ormai identificare le operazioni che vi sono sottratte, che quelle che passano per le sue forche caudine, come mostra la crescita esponenziale delle notifiche. Soprattutto, esso viene ormai interpretato dalle imprese come un vincolo al quale sottostare: il che le conduce a modificare la propria condotta, non considerando nemmeno opportunità che potrebbero creare valore per gli azionisti.
Da questo punto di vista, non sarà mai abbastanza biasimata la miopia delle associazioni imprenditoriali, che spesso ne hanno cantato le lodi, come se proteggere gli assetti proprietari attuali non significasse erodere i diritti di proprietà degli stessi imprenditori. E con quale fine? Al di là delle giustificazioni di volta in volta addotte dai governi, l’essenza del Golden Power è stata consentire alla politica di indirizzare - con le sue parole e i suoi silenzi, prima ancora che con le sue azioni - operazioni che dovrebbero essere governate dall’interesse degli azionisti.
Attraverso il Golden Power, il governo si comporta invece da azionista occulto di tutte le imprese italiane: di volta in volta la condotta dell’esecutivo può andare incontro ai desiderata dei singoli oppure frustrarli, ma in ogni caso introduce incertezza ed erode il significato dei diritti di proprietà nel nostro paese. La cosa migliore che il governo potrebbe fare del Golden Power è abolirlo (o comunque restringerne sostanzialmente il perimetro e le modalità di applicazione). In alternativa, dichiarare in modo chiaro ed esplicito quali sono le fattispecie in cui intende sfoderarlo, e fare voto di astinenza in tutti gli altri casi.
di Istituto Bruno Leoni