Creare il capitalismo del futuro

martedì 28 gennaio 2025


In molti hanno cercato e cercano di contrabbandare per vero capitalismo le tipologie di sistemi economici che prevedono un importante ruolo dello Stato in campo economico oppure che mettono al centro le relazioni (clientelismo) a scapito della concorrenza. Per raggiungere il loro scopo, essi ricorrono a giochi di prestigio dialettici o ad improbabili mescolanze per portare nell’alveo del “capitalismo” una serie di contaminazioni concettuali ad esso estranee. La sfida per chi crede nei principi del capitalismo è quella di separare il grano delle qualità ad esso realmente afferenti dal loglio delle caratteristiche spurie erroneamente attribuitegli e lavorare affinché gli elementi che gli sono propri vengano messi in pratica nel modo più fedele possibile, per poter ottenere tutti i benefici economici, sociali e morali che esso è in grado di garantire.

Il raggiungimento di questo obiettivo richiede la privatizzazione delle aziende di proprietà dello Stato e il taglio di tasse, sussidi, tariffe e regolamentazioni che frenano il diffondersi della libera concorrenza e consentono al capitalismo di relazione e al corporativismo di prosperare. Esso richiede anche che il ruolo del governo venga limitato alla difesa dei diritti degli individui e della libertà economica e non sia, invece, utilizzato per violare gli uni e l’altra. Insomma, per consentire al capitalismo di produrre i propri effetti occorre stabilire una netta separazione tra sfera statale e sfera economica.

Non si tratta, naturalmente, di una missione facile da portare a compimento in regimi di tipo democratico, nei quali un numero sempre crescente di decisioni viene preso ricorrendo a procedimenti di natura politica e attribuendo, di fatto, alla maggioranza il diritto di imporre alla minoranza ogni sorta di agenda economica oppure riconoscendo a specifici gruppi di interesse un ruolo troppo invasivo. A ben vedere, questo stato di cose ha paradossalmente poco a che fare con l’ideale di democrazia; si tratta, piuttosto, di una forma di populismo rafforzato dal potere coercitivo dello Stato. È proprio per evitare queste degenerazioni politiche che i padri fondatori degli Stati Uniti d’America fissarono limiti stringenti all’operato del governo, prevedendo che i poteri fondamentali dello Stato fossero posti in capo a istituzioni differenti. Purtroppo, e nonostante queste precauzioni, anche negli Usa si è verificata una progressiva concentrazione del potere presso gli organi politici centrali.

Una dinamica siffatta è il perfetto brodo di coltura per l’affermarsi del capitalismo di relazione a scapito del capitalismo correttamente inteso. Per evitare che questo processo prosegua e possa esercitare tutti i suoi più deleteri effetti è, dunque, necessario analizzare i limiti dei nostri sistemi così come sono venuti evolvendosi e, sulla base di ciò, ripensare i confini da porre all’operato dei governi.

(*) Direttore dell’Adam Smith Institute


di Eamonn Butler (*)