Stellantis e altre storie

giovedì 5 dicembre 2024


Qualche appunto, vagamente liberale, sulle pianificazioni centralizzate camuffate da pianificazioni centralizzate.

A) Quando il signor Henry Ford, agli albori del Novecento, modellò plasticamente il suo genio adoperando gomme, pistoni e telaio non credo che venne sostenuto dal Governo statunitense mediante paletti o vincoli normativi nei confronti degli equini, il mezzo di locomozione fin lì più usato nell’intero globo. E cioè, Washington non impose il passaggio dai quadrupedi alle quattroruote entro una certa data. Furono gli stessi americani che, soppesando i pregi e i difetti di una trazione meccanica rispetto a una animale, decisero di svoltare puntando sulla benzina piuttosto che sulla biada. Il signor Ford, in pratica, plasmò quello di cui i consumatori avevano bisogno pur ignorandone non l’esistenza ma la sola idea che potesse essere inventato. Ergo, creando l’offerta sapendo bene che vi sarebbe stata una domanda. Perché utile, a tratti proprio necessaria.

B) A distanza di un secolo e poco più ecco che un nano politico – perché l’Europa questo ancora è – impone mediante un élite burocratica che dal 2035 tutte le vetture che escono dalle fabbriche devono essere alimentate dal motore puramente elettrico. Le motivazioni sono quelle legate alla tutela dell’ambiente e, va da sé, alla salvaguardia della salute umana. E il tutto senza possibilità di ripensamenti o valutazioni di altra natura. Quanto sarebbe stato preferibile, invece, che – pur ammettendo un minimo sindacale di pianificazione – si fosse stabilito che dal 2035 le auto sarebbero state equipaggiate dal motore più efficiente in termini di prestazioni anche ambientali? Come a dire: noi vogliamo arrivare qui, questa è la meta, ma come raggiungerla decidete voi. Voi. Noi. Il mercato. E allora sì che avremmo avuto un’accelerazione in termini di ricerca e innovazione – che peraltro non si è mai arenata nel settore dell’automobile – funzionale al raggiungimento di un ecosistema decisamente più vivibile. Perché passare d’emblée dal motore endotermico alla batteria presenta, tra le altre cose, una complicazione non da poco sia nell’approvvigionamento delle fonti energetiche, sia nella caratterizzazione della rete infrastrutturale e sia nell’acquisizione dei materiali essenziali per costruire i nuovi generatori dovendo operare nelle miniere spesso senza particolari tutele sindacali, ad essere buoni.

C) La crisi dell’auto ovviamente non è dovuta soltanto al provvisorio (?) flop dell’elettrico ma a una pluralità di fattori tra cui anche il cambiamento culturale delle nuove generazioni per le quali l’auto non rappresenta più uno “status symbol” o una meta generazionale assai agognata come poteva esserlo fino a un ventennio addietro. D’altronde, il libero mercato si chiama così proprio perché è davvero libero. Libero di decidere cosa volere e cosa no, di indirizzare i propri gusti, le proprie vocazioni finanche i propri vezzi e quali mode provenienti dal passato andare a relativizzare. Poi, certo, vale la discrepanza significativa tra il livello salariale medio ed il costo di un auto di medie piccole dimensioni. Ma anche qui il mercato ha trovato soluzioni mentre altri annegavano nei problemi. Parlo del noleggio a lungo termine piuttosto che del cosiddetto car sharing.

D) Quel che il Governo italiano dovrebbe fare, in una prospettiva di medio-lungo termine, è attivare una vera politica industriale declinata nella creazione di tutte quelle condizioni fortemente attrattive per un gruppo industriale esterno che vorrebbe investire nel nostro Paese. Tra le varie: infrastrutture materiali e immateriali di ultima generazione, certezza del diritto, una legislazione traducibile almeno nella lingua inglese, scuole internazionali per la prole dei gruppi dirigenti, una tassazione non particolarmente esosa, un costo dell’energia non improponibile, tempi della giustizia rapidi, una burocrazia che non diventi un limite nel tentativo di creare ricchezza, un sindacato più tecnico e meno ideologico.

E) Veniamo alla sinistra, sia partitica che sindacale. Se il progressismo nostrano avesse dedicato soltanto una minima parte di tutto il tempo che ha riservato agli allarmi per il ritorno al fascismo, forse ci sarebbe stata nel Paese una maggiore contezza della situazione di rischi in cui stava per incappare il Gruppo Stellantis. Ed invece. Vuoi per una manifesta ignoranza di base su questioni legate alla concorrenza e alla competitività – negli anni Ottanta il Partito comunista italiano si oppose alla cessione dell’Alfa Romeo alla Ford preferendo guidare l’Arna alla rinascita di una gloriosa casa automobilistica, e quell’approccio di chiusura verso le infinite possibilità offerte dal liberismo pare sia rimasto patrimonio anche del Partito democratico – e vuoi perché la famiglia Elkann, proprietaria del gruppo, è, a sua volta, editrice, tra gli altri, de la Repubblica e de La Stampa ovvero due tra i principali (se non proprio i principali) organi di stampa progressisti che ogni giorno menano fendenti contro il centrodestra e il Governo.


di Luca Proietti Scorsoni