lunedì 18 novembre 2024
La prima constatazione è anche la più semplice: ci eravamo abituati, da anni se non da lustri, a sentir solo parlare di privatizzazioni, senza che poi alle parole seguissero atti di un qualche rilievo. Bisogna riconoscere che da un paio d’anni a questa parte, le cose vanno diversamente. La cessione di Ita Airways a Lufthansa dovrebbe ormai essere un fatto compiuto: a cinquant’anni dal primo salvataggio e a trenta dal primo collocamento sul mercato delle quote di Alitalia è un risultato finanziariamente trascurabile ma simbolicamente non piccolo. Certo, non sempre le cose sono così nette (anche se sono più redditizie). Collocare sul mercato il 2,8 per cento di Eni non è esattamente una privatizzazione ma corrisponde – questo sì – a un maggior potere di condizionamento del mercato su una entità a controllo pubblico. E lo stesso potrà dirsi quando (quando?) sul mercato sarà collocata una tranche non marginale di Poste italiane.
Con la cessione del 15 per cento del capitale del Monte dei Paschi (che fa seguito alle cessioni già intervenute dal 2023) si fa un ulteriore e significativo passo avanti portando all’11,7 per cento la quota detenuta dallo Stato, per un incasso complessivo di 2,7 miliardi di euro. In quest’ultimo caso, l’uscita del pubblico pone le basi, potenzialmente, anche per un significativo consolidamento del mercato italiano del credito nell’attesa che i Governi europei – che spesso europei sono solo a parole – consentano che il necessario consolidamento intervenga anche a livello continentale. E – non dovremmo mai trascurarlo – contribuisce a consolidare le valutazioni dei mercati circa l’indirizzo delle nostre politiche di bilancio. Tornando a noi, nel complesso, non siamo ancora ai 20 miliardi promessi dal Governo in carica nel 2023 ma a due quinti del percorso della legislatura non siamo poi così lontani dai due quinti di quella cifra. E le ipotesi per sfiorare, se non per raggiungere, l’obbiettivo non mancano: immaginando che non si voglia tornare indietro su Poste italiane, Enav, Trenitalia e le strutture portuali sono candidati possibili. E non sono gli unici.
Ma forse questo è soprattutto il momento per invitare il governo a completare il lavoro iniziato con particolare riferimento al comparto bancario. Non c’è motivo alcuno – soprattutto ora che un nucleo visibilmente stabile di carattere non solo finanziario ma soprattutto industriale si è costituito all’interno dell’azionariato del Monte dei Paschi – che lo Stato continui a detenere la sua quota residuale. Colga anzi l’opportunità che visibilmente il mercato gli sta offrendo per lasciare andare del tutto l’istituto che si è, finalmente e con colpevole ritardo, liberato dalla sua eredità provinciale (nel senso deteriore del termine). E ci sono invece motivi cogenti perché l’operatore pubblico si liberi anche delle partecipazioni che legano a Invitalia, attraverso il Mediocredito Centrale, la Cassa di Risparmio di Orvieto e la Banca popolare di Bari. Per la prima, un approdo privato potrebbe essere ormai all’orizzonte. Restituire al settore privato anche la seconda non solo darebbe un piccolo contributo al raggiungimento dell’obbiettivo complessivo già citato ma soprattutto chiarirebbe che se c’è un’area del Paese in cui è urgente e necessario restituire spazio ai privati questo è il Mezzogiorno.
(*) Consigliere d’amministrazione dell’Istituto Bruno Leoni
di Nicola Rossi (*)