venerdì 11 ottobre 2024
Oggi tutti cascano dal pero per la notizia dei conti correnti spiati da un impiegato di banca. Nessuno ricorda che lo scrivente, circa quindici anni fa dalle pagine de L’Opinione, allertava i cittadini circa il pericolo della digitalizzazione.
Il bancario avrebbe spiato i conti correnti di 3.572 clienti, tra cui la premier Giorgia Meloni, Guido Crosetto, Raffaele Fitto, Daniela Santanchè, i governatori Michele Emiliano e Luca Zaia, nonché di numerose personalità del mondo politico e imprenditoriale. La polizia giudiziaria, su mandato della Procura di Bari, ha perquisito l’abitazione dell’ex bancario e sequestrato smartphone, tablet, hard disk e vari dispositivi informatici: in pratica è stato chiuso il recinto dopo che gli animali sono stati fatti fuggire.
Il caso di spionaggio sui conti correnti riporta sotto i riflettori l’uso infedele e improprio che dipendenti di banche e pubblici funzionari potrebbero fare dei dati bancari e catastali, come dei vari pubblici registri. Esempio cardine è la cosiddetta vendita di un bene a nostra insaputa, che è sempre stata possibile, quindi la rivalsa su quella casa, auto o terreno è tutta lasciata alla forza e abilità dei contendenti: forza e abilità che ieri si misurava con le armi, mentre oggi tutto si gioca nei tribunali in base all’autorevolezza bancaria e finanziaria delle parti in causa.
Un amico vertice di una struttura di controllo ci assicura che “ogni giorno la Consob vigila su molteplici casi di prestazione abusiva di servizi d’investimento e di offerta abusiva di prodotti finanziari e, ogni anno, le azioni a contrasto di queste condotte sono centinaia. Nei periodi di crisi i tentativi di truffa diventano ancora più frequenti, perché trovano terreno fertile nel clima di incertezza e preoccupazione che connota le congiunture economiche sfavorevoli e, ancor più, le fasi di emergenza, di crisi globale e globalizzata”.
Ma le truffe le operano i pesci piccoli, quelli più grandi creano quel battito d’ali di farfalla in Asia capace di trasformarsi in uno tsunami in Italia come in Argentina, a Cipro, in Grecia e in Portogallo. Ovvero in tutte quelle democrazie in cui regna l’incertezza e la non tutela dei patrimoni mobiliari e immobiliari dei cittadini. In Francia sarebbe impossibile (intendiamoci, potrebbe anche capitare) che il terreno di un cittadino venga messo a leva finanziaria a sua insaputa: casomai dopo anni generare un contenzioso con una multinazionale finanziaria che ne potrebbe vantare la proprietà presso una corte internazionale. In Argentina e a Cipro questo meccanismo d’esproprio è praticabilissimo. In Italia questa consuetudine truffaldina si sta irrobustendo. Nell’ambito del linguaggio finanziario, il concetto di leva finanziaria indica uno strumento che permette di compiere investimenti per un importo superiore al capitale effettivamente posseduto: ovviamente beneficiando di un rendimento mensile o annuale che negli anni si potrebbe rivelare di un valore maggiore rispetto al bene impegnato. Nel mondo bancario appellano il fenomeno con il vocabolo anglosassone “leverage”: la leva finanziaria consente quindi di contrarre debiti allo scopo di aumentare i profitti, e può essere utilizzata sulla maggior parte dei mercati noti come forex, azioni, indici, bond e una miriade di derivati atipici.
Un esempio di operazione che utilizza la leva finanziaria è il “leveraged buyout”, procedura che permette di acquisire una società tramite l’indebitamento della stessa: indebitamento che potrebbe essere creato anche all’insaputa della stessa. Nel caso di Paesi come l’Argentina, e l’Italia segue a ruota, è possibile costruire presso sedi finanziarie extraeuropee importanti debiti in testa a persone fisiche e giuridiche italiane, argentine, cipriote. Utilizzando sapientemente i dati catastali e bancari dell’inerme cittadino si sosterrà e si documenterà presso un foro internazionale che c’è stato il ricorso ad una leva finanziaria, perché la persona fisica ha creduto in un aumento di guadagni tramite investimenti su piazze estere, e che dai dati informatici emergerà che il soggetto ha espresso “consenso informato” (digitale) sul rischio di perdite importanti. In questo gioco alle spalle del cittadino, che prevede come parti in causa il capitale effettivamente posseduto e quello forse mai preso in prestito, si costruisce la vertenza internazionale che porta alla spoliazione di milioni di cittadini da parte di gruppi multinazionali d’investimento.
Proprio su L’Opinione lo scrivente vi illustrava un simile metodo usato per sottrarre aziende agricole in Argentina e in Brasile, terreni nella Pampa poi ceduti dall’immobiliare finanziaria ad importanti nomi del panorama internazionale. Attualmente i fondi d’investimento internazionali (lussemburghesi con sede in Asia) stanno monitorando i pubblici registri automobilistici italiani per mettere a leva finanziaria le collezioni d’auto dei cittadini del Belpaese. Operazione che si consuma anche grazie ad alcuni club che in maniera ingenua forniscono i dati a vari trader del “money management” (Hetica Capital, Fondo Klassik di Hetica, Azimut). Tutto fila liscio finché non s’inserisce nel gioco la mela marcia che, su input di poteri internazionali, certifica digitalmente la “vendita sulla parola” di Ferrari, Lamborghini, Maserati, Lancia, Aston Martin. Scatta così la rivalsa sul bene, che potrebbe anche condurre alla spoliazione in danno del vero proprietario, proprio come per case e terreni. Un caso similare lo stanno tutt’ora vivendo i proprietari dei terreni tra il cratere del terremoto e la Pedemontana marchigiana: proprietà espropriate e mai risarcite, perché durante il Governo Renzi l’esproprio era stato affidato a società estere subentrate nei lavori dell’arteria nelle Marche.
Ma torniamo all’oggetto principale, ovvero dati, registri e utilizzo degli stessi. I cittadini vivono ormai nell’incertezza patrimoniale perché sanno che conti correnti e patrimoni registrati potrebbero subire una volatilizzazione attraverso metodi informatici. Nel Novecento avevamo raggiunto una sorta di certezza patrimoniale, ovvero la registrazione scritta e gli atti notori ci tutelavano. Oggi siamo piombati in pieno Medioevo cibernetico: come nei Racconti dell’Anno Mille, in cui bastava una pergamena falsificata in Terra Santa, con tanto di sigillo del Re Luigi, per giustificare il possesso di Castro.
di Ruggiero Capone