Pagare per ammirare: quando il turismo diventa un privilegio

venerdì 13 settembre 2024


Una tassa per visitare la Fontana di Trevi:
è davvero questa la soluzione all’ overtourism?

Una questione davvero singolare, che sembra aver tolto il sonno a molti amministratori locali, ed è sovente sulle prime pagine dei giornali, quale argomento ricorrente nelle discussioni legate alle città d’arte, è quella di un asserito sovraffollamento turistico. Esso, enfaticamente definito overtourism, rifletterebbe un afflusso eccessivo di persone, che supererebbe la capacità delle città di gestirli e starebbe assumendo proporzioni rilevanti.

Ebbene, se esaminiamo con attenzione il concetto stesso di overtourism balza subito in evidenza come esprima una costruzione artificiale, che dietro alla sua apparente innocuità, cela spesso manovre politiche per giustificare nuove forme di controllo e regolamentazione. In tale contesto non fa eccezione la recente proposta di introdurre un numero chiuso e una tassa per visitare la Fontana di Trevi a Roma, ossia quell’icona mondiale, che attira ogni anno milioni di visitatori, per la quale è stata avanzata l’ipotesi di introdurre un numero chiuso e una tassa di 2 euro per limitarne l’accesso, con un tempo massimo di 30 minuti.

Del resto, già il sostenere che esista un “eccesso” di turisti implica di per sé che ci sia un numero ottimale di persone che hanno il diritto di visitare un luogo specifico. C’è da chiedersi, però, chi decide qual è questo numero? E su quali basi?

Le città, i monumenti e i luoghi di interesse pubblico non sono beni privati, ma comuni, fruibili da chiunque, indipendentemente dal proprio status economico o sociale. Limitare l’accesso alla Fontana di Trevi (o ad altri luoghi simili) significa creare una barriera, rendendo l’esperienza culturale e artistica un privilegio esclusivo di chi può permettersi di pagarne il prezzo.

Il concetto stesso di overtourism è peraltro profondamente antiliberale. Si basa sull’idea che ci sia un “troppo” che deve essere regolamentato dallo Stato o dalle autorità locali. Eppure, la scienza sociale e, in particolar modo la teorica economica hanno mostrato che nel mercato la domanda e l’offerta si autoregolano naturalmente. Se un luogo diventa estremamente affollato, i visitatori cercano alternative. Non c’è bisogno di imporre tasse o limitazioni per correggere un problema che, in molti casi, è semplicemente il risultato di una crescita spontanea del mercato turistico.

Immaginiamo per un momento cosa significherebbe applicare il concetto di overtourism in altri ambiti. Dovremmo forse limitare il numero di persone che possono partecipare a un evento culturale o visitare un museo? E se lo facessimo, chi avrebbe il potere di decidere chi ha il diritto di accedere?

In una società aperta e libera, la bellezza e la cultura devono essere accessibili a tutti, senza restrizioni. Ipotizzare che lo Stato possa intervenire per “proteggere” i beni culturali limitando l’accesso ai cittadini è una pericolosa deriva autoritaria.

Né può ragionevolmente sostenersi, come pure fanno alcuni fautori degli interventi limitativi, che il sovraffollamento rappresenterebbe una minaccia per l’integrità delle città d’arte e per la qualità della vita dei residenti.

In proposito è il caso di considerare che il turismo di massa altro non riflette che il risultato naturale della domanda e dell’offerta in un mercato non ostacolato o condizionato e, quindi, libero.

Le città d’arte, con la loro bellezza e ricchezza storica, attirano visitatori perché offrono valore, e tale interesse genera opportunità economiche per i residenti. Il turismo, infatti, costituisce una delle principali fonti di reddito per molte località, una sorgente di prosperità. Il denaro che vi affluisce grazie ai visitatori permette di mantenere, restaurare e valorizzare il patrimonio artistico e culturale, generando benessere e ricchezza per la collettività. I residenti, a loro volta, possono liberamente sfruttare le opportunità per trarre profitto, dall’affitto di proprietà all’offerta di servizi, mentre gli imprenditori locali possono rispondere alla domanda con soluzioni innovative: migliori infrastrutture, servizi dedicati o offerte personalizzate che possano, al contempo, soddisfare i turisti e migliorare la qualità della vita della comunità. Sotto l’aspetto ora considerato, appare pertanto di evidenza lapalissiana come limitare l’accesso ai turisti significhi colpire duramente l’economia locale, privando residenti, ristoranti, alberghi, negozi e imprese di una clientela fondamentale.

A quanto precede è poi il caso di aggiungere che la proposta di tassare l’accesso alla Fontana di Trevi, ma l’esempio può valere per ogni altra località, per ridurre il numero di visitatori è una misura regressiva che colpisce in modo sproporzionato i turisti con meno risorse economiche. Una famiglia che decide di visitare Roma potrebbe trovarsi a dover pagare somme elevate solo per poter ammirare un’opera d’arte che, fino a poco tempo fa, era liberamente accessibile. Non si tratta solo di una questione economica: è una questione di principio.

La bellezza e la cultura appartengono a tutti, e nessuno dovrebbe essere escluso dalla possibilità di usufruirne in nome di una presunta gestione del sovraffollamento. “Lo Stato non ha né il diritto né la competenza per regolamentare il nostro modo di godere della cultura e della bellezza”, ha scritto Murray N. Rothbard, cogliendo così l’essenza della critica che deve essere mossa all’intervento statale, che trova altresì perfetta applicazione alla situazione attuale. L’idea che un’autorità possa stabilire quanto e come possiamo godere del nostro patrimonio culturale è di conseguenza una violazione dei diritti individuali e della libertà di scelta.

In verità, è importante riconoscere che i problemi legati al turismo di massa non si risolvono con restrizioni e controlli, ma con soluzioni innovative e di mercato. Ad esempio, incentivando percorsi alternativi e destinazioni meno conosciute potrebbe essere un modo per distribuire meglio i flussi turistici, senza limitare la libertà di movimento dei cittadini.

Il turismo, inoltre, come qualsiasi altro settore dell’economia, è soggetto a cicli di crescita e declino. Il sovraffollamento di oggi potrebbe non essere un problema domani, e viceversa. Non possiamo basare politiche pubbliche su fenomeni transitori, ignorando le dinamiche complesse che caratterizzano l’economia del turismo. A tal proposito occorre fare tesoro della lezione di Friedrich A. von Hayek, secondo cui “l’ordine spontaneo” generato dal libero mercato è spesso in grado di risolvere problemi che l’intervento statale può solo complicare.

Imporre regolamentazioni sul turismo significa anche trascurare la capacità di adattamento e innovazione del settore privato.

Le imprese, se lasciate libere di operare, possono trovare soluzioni creative per migliorare l’esperienza turistica senza la necessità di tassare o limitare l’accesso. Pensiamo, ad esempio, all’uso della tecnologia per gestire i flussi in modo più efficiente, o all’introduzione di nuovi servizi che rendano l’esperienza del visitatore più piacevole e meno congestionata.

Il concetto di overtourism è quindi, nella migliore delle ipotesi, un falso problema; nella peggiore, è un pretesto per giustificare politiche di controllo che minano la libertà individuale e danneggiano l’economia. Se vogliamo davvero preservare il nostro patrimonio culturale, dobbiamo farlo attraverso la valorizzazione e non attraverso la limitazione. Dobbiamo incentivare il turismo di qualità, senza chiudere le porte a chiunque voglia ammirare la bellezza che l’Italia ha da offrire.

In conclusione, la proposta di un numero chiuso e di una tassa per visitare Fontana di Trevi non è solo una misura inefficace, ma rappresenta un pericoloso precedente per ulteriori restrizioni alla libertà.

Non esiste un problema di “troppi” turisti: esiste solo la necessità di gestire meglio i flussi, senza ricorrere a soluzioni autoritarie. La bellezza e la cultura non possono essere monopolizzate dallo Stato, né trasformate in beni esclusivi per chi può permetterseli. La vera risposta all’overtourism non è meno libertà, ma più libertà.


di Sandro Scoppa