La pressione fiscale e normativa soffoca il recupero immobiliare

mercoledì 28 agosto 2024


Tasse opprimenti e vincoli rigidi stanno scoraggiando il recupero degli immobili abbandonati.
È urgente una svolta verso politiche più liberali.

Negli ultimi anni, l’Italia ha registrato un drammatico aumento del numero di ruderi, con un incremento del 123 per cento in soli 12 anni, portando il totale degli immobili abbandonati a oltre 620.000 unità. Questo fenomeno non è solo un segnale di degrado urbano, ma il sintomo di una crisi più profonda che colpisce particolarmente le aree rurali e le piccole città.

Le cause principali di tale situazione vanno ricercate in un sistema fiscale punitivo e in una legislazione rigida che impone una miriade di vincoli normativi e tributi sui proprietari immobiliari.

L’imu è il tributo principale che grava sugli immobili, ma non è l’unico. La tari (tassa sui rifiuti), ad esempio, continua a pesare anche su proprietà abbandonate o inutilizzate, insieme ad altri tributi che gravano su questi immobili, come l’irpef o l’ires sugli immobili non locati. Anche se le unità collabenti, ovvero quelle strutture ormai fatiscenti e inagibili, sono esenti dall’imu, i proprietari devono comunque affrontare costi indiretti, come la manutenzione del territorio e l’adeguamento alle normative vigenti, che possono rendere insostenibile il mantenimento di tali immobili, specialmente in contesti economici difficili.

In aggiunta alla pressione fiscale, la legislazione italiana impone stringenti vincoli derivanti dalla zonizzazione del territorio e dalla tutela del patrimonio storico e paesaggistico. Sebbene concepiti per salvaguardare il patrimonio culturale, tali vincoli spesso finiscono per creare ostacoli significativi alla riqualificazione degli immobili abbandonati. In numerose aree, le normative locali sono così rigide e complesse che intervenire sugli edifici diventa quasi impossibile senza affrontare lunghe e costose procedure burocratiche. Questo quadro normativo complesso scoraggia i proprietari dall’investire nel recupero delle proprietà, aggravando ulteriormente il problema del degrado urbano.

La combinazione di una pressione fiscale elevata e di vincoli normativi stringenti ha portato molti proprietari a considerare l’abbandono dei propri beni come l’unica soluzione, contribuendo così all’aumento dei ruderi. La situazione richiede una riforma profonda, che non si limiti a misure temporanee, ma che riveda l’intero approccio alla gestione del patrimonio immobiliare.

Le proposte di Confedilizia, come l’esenzione totale dall’imu per gli immobili situati in comuni con meno di 3.000 abitanti e per quelli inagibili o inabitabili, rappresentano un passo importante, ma non sufficiente. È necessario, pertanto, avviare una diversa politica, di ampio respiro, che includa la semplificazione delle procedure burocratiche e una revisione dei vincoli legati alla zonizzazione e alla tutela del territorio.

Solo così sarà possibile creare un ambiente favorevole alla riqualificazione degli immobili e al rilancio delle aree economicamente depresse.

Il tutto sempre tenendo bene in considerazione che un approccio risolutivo per l’indicata crisi deve partire dal riconoscimento del diritto alla proprietà privata come pilastro fondamentale della libertà individuale e del progresso economico, come del resto ha scritto John Locke, secondo cui: “Il grande e principale scopo, quindi, che gli uomini uniscono in comunità e si pongono sotto il governo, è la preservazione della loro proprietà”.

Lo Stato dovrebbe quindi limitare la propria ingerenza, concentrandosi piuttosto sulla creazione di un contesto normativo e fiscale che favorisca il recupero del patrimonio immobiliare abbandonato: “Nulla è più contrario alla giustizia e alla libertà – ha sottolineato David Hume – che il controllo arbitrario e dispotico della proprietà da parte dello Stato”. È questo un monito particolarmente rilevante in Italia, dove l’eccessiva regolamentazione e la pesante imposizione fiscale minacciano la libertà economica, soffocando l’iniziativa privata e perpetuando il degrado urbano.

In definitiva, l’aumento dei ruderi in Italia è il prodotto di una legislazione fiscale e normativa eccessivamente rigida e punitiva. Per invertire siffatta tendenza, è necessario adottare un diverso e più rispondente approccio che promuova la libertà economica, riduca la pressione fiscale e burocratica, e faciliti il recupero del patrimonio edilizio. Solo così sarà possibile trasformare i ruderi in opportunità di sviluppo e crescita per le comunità locali, contribuendo al rilancio economico e sociale del Paese.


di Sandro Scoppa