L’occupazione abusiva delle case, una ferita sempre aperta

martedì 23 luglio 2024


Un fenomeno molto diffuso che crea allarme e impone strategie adeguate e soluzioni rapide

Nel mondo anglosassone è denominata “squatting”, la pratica di occupare terreni o proprietà, di solito residenziali, su cui non si ha alcun titolo legale per poterle utilizzare. È un fenomeno che ha una lunga storia, la quale richiama comportamenti ancestrali agli albori della civiltà, dei primitivi cacciatori e raccoglitori, che utilizzavano ricoveri di fortuna, come caverne o grotte scavate nelle rocce. La comparsa nel Neolitico delle prime forme di agricoltura e pastorizia ha dato origine alle situazioni possessorie e, quindi, all’appartenenza dei beni in capo agli occupati, che potevano rivendicare il proprio diritto nei confronti dei terzi. Si viveva ovviamente in un’epoca, e ciò sino alle elaborazioni dei giuristi romani, in cui la proprietà privata degli immobili, e il riconoscimento formale del relativo diritto, non erano così netti come lo soni oggi: il che, nei casi di contestazione, apriva la strada alla loro risoluzione con le testimonianze e i ricordi degli anziani. È in parte per questo motivo che poi, nelle legislazioni moderne, all’usucapione è stato attribuito un ruolo importante e, spesso, anche decisivo pure come mezzo per porre fine all’ambiguità nelle rivendicazioni di proprietà e risolvere controversie potenzialmente di lunga durata sulla successione dei titoli.

Detto fenomeno si è esteso a livello globale, tant’è che per gli studiosi israeliani Tony Rantissi e Vitaly Gitis “circa una persona su dieci a livello globale risiede attualmente senza autorizzazione in un’abitazione, un edificio o un appezzamento di terreno di un’altra persona”, mentre in una vecchia ricerca della Nazioni unite è stimato che nel 2003 che ci fossero un miliardo di residenti nelle baraccopoli e occupanti abusivi in tutto il mondo.

In Occidente, la pratica delle occupazioni abusive si è diffusa in molti paesi, soprattutto a partire dagli anni ‘60 e ‘70, e ha riguardato sia i terreni sia le case. Vi è però da rilevare che l’occupazione rurale ha sempre avuto una densità inferiore a quella urbana, in quanto nella maggior parte dei casi gli abusivi hanno invaso terreni meno produttivi e in zone diverse da quelle utilizzate dai proprietari che, in genere, non li hanno neppure estromessi dai loro immobili. Viceversa, quando gli abusi sono stati commessi sulle case, i proprietari spesse volte sono stati spossessati e privati della possibilità di utilizzare i beni, fino al punto di potersi trovare senza un’abitazione.

Per quanto riguarda l’Italia, non esistono dati ufficiali, anche se alcune stime risalenti al 2018 prospettano in 50mila il numero delle abitazioni occupate arbitrariamente sull’intero territorio nazionale, con picchi massimi nelle grandi città. Le occupazioni, che investono pure gli appartamenti di Edilizia residenziale pubblica, sono state perfino condotte da gruppi organizzati, come le prime nel 1968 di edifici abbandonati, dai movimenti di sinistra Lotta Continua e Potere Operaio.

Pur trattandosi di illeciti penalmente sanzionati, e fonte di danni per i privati proprietari spossessati, a volte i Tribunali hanno adottato decisioni piuttosto tolleranti verso i responsabili e sono stati restii a riconoscere e difendere il diritto di proprietà. Tuttavia, più recentemente, la giurisprudenza della Corte di cassazione, incanalatasi nel solco di una sentenza pioneristica del Tribunale di Roma, ha ribadito l’importanza di garantire siffatto diritto e ha sancito, nel contempo, l’inestinguibile dovere di assicurare la migliore tutela possibile a carico dello Stato, che ha condannato a risarcire i danni per non essere state le istituzioni preposte in grado di impedire l’illecito.

In sede politica, si è registrato un atteggiamento ondivago, che è sovente sfociato nella legittimazione degli abusivi, i quali hanno utilizzato le loro azioni come armi politiche a sostegno di gruppi politicamente favoriti. È di pochi giorni orsono l’ultima eccentrica iniziativa, riportata dalla stampa, che può considerarsi emblematica. Riguarda il Comune di Roma, il quale ha lanciato un salvagente agli occupanti abusivi dei palazzi in via Bibulo e via Volonté, di proprietà rispettivamente della società Loanka srl e di un privato cittadino, già inseriti nella lista degli immobili da sgomberare con urgenza ma che ora l’ente potrebbe comprare.

È indiscutibile che in uno Stato di diritto e all’interno di una società basata sull’economia di mercato, il contratto e gli scambi volontari, il fenomeno delle occupazioni abusive vada combattuto con ogni mezzo e senza alcun cedimento. Anche di fronte a pretese che arrivano addirittura a legittimare le occupazioni abusive, finanche assumendo che queste ultime renderebbero più efficiente l’uso del territorio ovvero costituirebbero un deterrente verso i proprietari, i quali sarebbero tenuti a utilizzare i propri immobili, per scongiurare il pericolo di abusi di terzi.

Vi è da dire intanto in proposito che la proprietà è intangibile e che non esiste un uso oggettivamente valido e corretto, indipendente dalle preferenze soggettive dei proprietari, i quali sono pertanto liberi di stabilire cosa costituisca un uso efficiente per i loro beni. Naturalmente, se tra le loro scelte vi è quella di lasciare un campo incolto o un edificio vuoto per un periodo ovvero a lungo termine, è indiscutibile che ciò rappresenti la linea d’azione, individualmente assunta, più redditizia in termini di guadagno economico e di profitto psichico. Nessun pianificatore o magistrato può sostituirsi all’avente titolo e determinare più soddisfacentemente il modo migliore per utilizzare la proprietà.

Né può in alcun modo giustificarsi la minaccia di occupare un immobile, spossessando il titolare del relativo diritto, in difetto di sua utilizzazione, atteso che equivale a una forma di estorsione. Fermo restando che è alquanto azzardato ritenere che il non uso costituisca abbandono né è chiaro perché un immobile diventi “abbandonato” semplicemente perché il proprietario non è stato presente per un po’ di tempo, vi è da considerare che la titolarità del diritto è sempre chiaramente indicata nei registri immobiliari e non ha alcuna scadenza. Aggiungasi che, una volta acquisito nei modi consentiti dalla legge, a titolo originario o derivativo, la proprietà può essere dismessa, trasferita o limitata unicamente con il consenso del titolare che, di conseguenza, non è affatto obbligato a fittare o cedere in altro modo la disponibilità del suo bene.


di Sandro Scoppa