Affitti brevi, il bersaglio sbagliato

martedì 16 luglio 2024


Una politica sensata dovrebbe promuovere quanta più concorrenza possibile nel settore delle locazioni

La decisione del Tar Toscana ha messo la parola fine, almeno per il momento, alla singolare iniziativa dell’ex sindaco di Firenze, Dario Nardella, che aveva fatto apprestare un divieto di iscrizione di nuovi affitti brevi turistici nell’area Unesco del capoluogo toscano. Esso era stato riportato in una norma inserita come variante al regolamento urbanistico fiorentino, nell’ottobre 2023, ma non riproposta nel Piano operativo comunale (Poc), approvato successivamente dal Consiglio comunale. Per tale motivo, secondo i giudici amministrativi, la disposizione è decaduta e con essa “gli effetti pregiudizievoli prodotti dalla variante”, cioè il divieto di iscrivere nuovi appartamenti al portale per gli affitti brevi. Gli stessi hanno in particolare rilevato che: “Lo stralcio dal Piano operativo del divieto delle locazioni brevi turistiche finisce, infatti, con il comportare un vistoso disallineamento tra le misure di salvaguardia originate dall’adozione della variante al Regolamento urbanistico e le scelte effettuate dal Comune”. Ciò genera, secondo il Tar, una “incompatibilità tra l’assetto territoriale futuro preconizzato dalla variante al regolamento urbanistico” e quello pronosticato dal Piano operativo, che non prevede lo stop.

Inoltre, il problema secondo i giudici “non può essere risolto, come vorrebbe il Comune di Firenze, ritenendo che fino all’acquisto di efficacia del nuovo Piano operativo continuino a trovare applicazione le misure di salvaguardia del vecchio Regolamento urbanistico”. Insomma, “non ha fondamento” l’idea del Comune di Firenze secondo cui la variante al Regolamento urbanistico sarebbe “insensibile” al nuovo Piano operativo, anche se non ancora in vigore (lo sarà entro dicembre). I giudici non hanno dubbi: “La pianificazione urbanistica richiede scelte univoche e non tollera la coesistenza di regole contraddittorie”.

Per l’attuale sindaco, Sara Funaro, lo stop è solo momentaneo, tant’è che tra pochi giorni riproporrà il blocco in giunta. Per il suo predecessore, ora parlamentare europeo: “La sentenza non entra nel merito e non boccia la variante. Firenze rimane un modello nazionale ed europeo. Nei prossimi mesi porterò in Parlamento europeo, con molti colleghi, un provvedimento che porti la Commissione ad emanare regole europee per strumenti per bloccare o limitare gli affitti turistici brevi che sono tra le cause dell’aumento degli affitti e dei costi degli immobili che mettono in difficoltà decine di migliaia di famiglie italiane e che rischiano di impoverire l’identità e i servizi dei nostri centri storici. Avanti tutta con questa battaglia al fianco della sindaca di Firenze per superare l’immobilismo di questo governo”.

Esula ovviamente da siffatte considerazioni, ancorate unicamente a pregiudizi ideologici ed espressione di chiusure preconcette, l'anti-economicità dei divieti. Questa risulta ampiamente dalla circostanza e dalla constatazione che, secondo Eurostat, nel 2023 il numero delle persone che hanno fatto ricorso all’affitto breve è notevolmente aumentato rispetto all’anno precedente. In prospettiva, la crescita potrebbe confermarsi anche alla fine del 2024. Inoltre, come riportato nell’indagine di Eurobarometer, detta tipologia locativa contribuisce a incrementare l’offerta di servizi turistici, soprattutto per i vantaggi che assicura agli utilizzatori. All’uopo è opportuno evidenziare che l’89 per cento l’ha considerata un’esperienza positiva che consiglierebbe ad altri. Tanto perché appresta un’offerta di alloggi più diversificata, prezzi convenienti (63 per cento), strutture migliori (49 per cento), le quali includono, nella maggior parte dei casi, servizi aggiuntivi che raramente sono presenti nelle stanze degli hotel, come ad esempio cucine private, disponibilità di aree comuni interne o esterne e possibilità di utilizzare lavatrici, asciugatrici e altri apparecchi.

Aggiungasi a quanto detto che gli affitti brevi consentono anche di raggiungere località fuori dai circuiti più utilizzati e di usufruire di posizioni migliori (43 per cento), che finiscono per rendere le esperienze di viaggio più autentiche e arricchenti. Tutto scaturisce essenzialmente dall’attrazione di una destinazione, ossia da quel misto di rarità, unicità, valore su cui è costruito il desiderio di visitare un luogo. Da non sottovalutare sono, poi, nel contesto esaminato, gli effetti espansivi che gli affitti brevi sono in grado di diffondere sugli altri settori, che vanno tenuti in grande considerazione. Le performance dell’economia dell’ospitalità non sono infatti date soltanto dalle presenze, cioè dal numero di notti trascorse dagli ospiti nelle strutture, ma dalle conseguenze economiche e dalla capacità di generare ricchezza, che sono molto più grandi rispetto a quelle connesse al mero soggiorno.

Secondo alcune stime di Sociomètrica gli affitti brevi genererebbero un fatturato di 11 miliardi di euro, una cifra superiore e quasi doppia rispetto ai 5,8 miliardi spesi per pagare i canoni di affitto tradizionali. Mediamente, poi, la presenza degli utilizzatori, in gran parte turisti, genera altri 44 miliardi di indotto. È di palmare evidenza che, una volta in vacanza o in viaggio, il protagonista affronta anche spese per tante altre cose, che vanno dai trasporti alla ristorazione, dai beni di consumo personale ai servizi culturali e di intrattenimento, dallo shopping ai servizi sanitari e per il benessere, coinvolgendo così buona parte dell’economia locale della zona ospitante. Senza contare gli ulteriori benefici che derivano dall’indicata forma di affitto, i cui proventi possono essere reinvestiti dai proprietari per effettuare lavori di manutenzione e di miglioramento dei loro immobili, per renderli maggiormente appetibili: la quale cosa finisce per avvantaggiare anche l’intero quartiere in cui si trovano, oltre a stimolare altri investimenti e la riqualificazione delle aree.

A parte ciò, le restrizioni sono anche antigiuridiche e incostituzionali, risolvendosi in limitazioni sostanzialmente espropriative e senza indennizzo della proprietà. Esse, infatti, pur non operando il trasferimento della proprietà in capo all’ente pubblico, interferiscono tuttavia, e persino notevolmente, con poteri e facoltà spettanti al proprietario, cui impediscono di godere e disporre liberamente dei suoi beni, abitando ad esempio la propria casa, affittandola a breve o lungo termine, impiegandola produttivamente e persino astenendosi da qualsiasi utilizzo. Tali limitazioni compromettono inoltre il valore o l’utilità della proprietà, persino in difetto di un interesse generale, concreto, attuale e, come detto, senza indennizzo, secondo una logica politica apertamente assistenzialista e redistributiva. In tal modo diventano un sistema mascherato di trasferimento di ricchezza, che – come ha scritto Bertrand de Jouvenel: “Più che un trasferimento di reddito dai più ricchi ai più poveri, come credevamo, è una redistribuzione di potere dall’individuo allo Stato”.

Né a sostegno delle restrizioni può essere invocata una pretesa emergenza abitativa, la quale non può neppure essere ritenuta tale atteso che farebbe piuttosto riferimento a una situazione che si protrae ininterrottamente da oltre un secolo. In realtà, nel concetto di emergenza è insito quello della temporaneità, che esprime un momento critico, il quale richiede un intervento immediato, soprattutto nella locuzione stato di emergenza, in genere per salvaguardare la salute e la sicurezza pubblica. Nondimeno, una volta che le condizioni di emergenza sono terminate, devono cessare contestualmente anche i provvedimenti di emergenza che sono stati adottati, dovendosi al contrario considerare ingiustificato e illegittimo protrarre la loro efficacia anche dopo che l'urgenza sia passata, sino al punto, di per sé paradossale, di renderli permanenti.

In buona sostanza sembra ormai chiaro che le restrizioni agli affitti brevi non sono apposte per contrastare una pretesa emergenza abitativa né, come alcuni hanno pure sostenuto, per avvantaggiare i residenti. Gli stessi risultano piuttosto un vestito cucito addosso, e ingiustificatamente, alle associazioni alberghiere, nonostante dati Deloitte dimostrino che in Italia il settore degli hotel è il più grande d’Europa con ben sono 31.806 strutture e un fatturato di 30,5 miliardi, destinati a salire a 37 miliardi nel 2028, contro i 27,7 miliardi attuali di quello inglese e i 26,2 di quello francese. È peraltro un settore in crescita, che non viene schiacciato da quello extra-alberghiero, come dimostra il fatto che il 60,7 per cento delle presenze nel 2023 si è verificato negli alberghi e nel Lazio, la regione in cui il turismo è cresciuto di più, si arriva al 66,2 per cento.     


di Sandro Scoppa