martedì 25 giugno 2024
Quanto successo nei mesi scorsi sulle case occupate e l’obbligo di pagamento dell’Imu lascia sperare in un futuro – almeno in tema – meno scuro del passato recente, quello, per intendersi, della Seconda Repubblica. Da una parte il Governo, su “spinta” di Matteo Salvini, ha tolto l’obbligo dei proprietari di pagare l’Imu se i loro immobili sono stati occupati abusivamente (e l’occupazione denunciata al giudice penale); dall’altra la Corte costituzionale, sempre nel caso di occupazione abusiva denunciata ha dichiarato incostituzionale l’articolo 9, I comma, previgente alla modifica (Legge 197/2022 del Governo Meloni), che imponeva al proprietario di pagare l’Imu anche se non ricavava alcuna utilità dall’immobile occupato abusivamente (sentenza 60/2024). La Corte costituzionale ha argomentato la propria decisione dal fatto che, non avendo il proprietario alcuna utilità dall’immobile, l’imposizione era violazione al principio della capacità contributiva, cioè all’articolo 53 della Costituzione (letta anche in connessione con l’articolo 3).
Ma a chi scrive pare che, la pretesa di farsi pagare dai cittadini anche se questi non possano ricavare alcunché dalla proprietà, abusivamente occupata, sia contraria a qualcosa di ancor più generale della normativa costituzionale. Invero, e come risulta dalla narrativa della sentenza 60/2024 della Corte, il proprietario si doleva che da 7 anni fosse occupato l’immobile e, malgrado ciò e il sequestro disposto dall’autorità giudiziaria, questo non fosse stato eseguito per diversi anni. Così che lo Stato che pretendeva l’imposta, non assicurava affatto che all’obbedienza fiscale del contribuente corrispondesse la protezione del diritto di proprietà. Thomas Hobbes, com’è noto, vedeva nel rapporto tra protezione e obbedienza il fondamento dell’obbligazione politica. Chiudeva il Leviatano affermando di averlo scritto “senza altro scopo che di porre davanti agli occhi degli uomini la mutua relazione tra protezione e obbedienza; alle quali la condizione della natura umana e le leggi divine – tanto naturali che positive – richiedono un’osservanza inviolabile”.
Questa è una legge di natura: “Il fine dell’obbedienza è la protezione, alla quale, dovunque sia vista da un uomo, o nella propria o nell’altrui spada, la natura fa aderire l’obbedienza di lui, e il suo sforzo per mantenerla”. Senza la protezione, viene meno l’obbligo dell’obbedienza. “L’obbligo dei sudditi verso il sovrano s’intende che duri fino a che, ma non più di quanto dura il potere, col quale egli è capace di proteggere quelli, poiché il diritto, che gli uomini hanno da natura di proteggere se stessi, quando nessun altro possa proteggerli, non può essere abbandonato con nessun patto”. Invece nella visione legalitaria della Seconda Repubblica (anche) il suddito contribuente deve pagare il potere pubblico anche se questo è inadempiente a proteggerlo. Perché? Le risposte sono quelle tanto spesso ripetute “ce lo chiede l’Europa”, per il “bene comune” (ma di chi? Di tutti o di qualcuno che di quella imposta campa?) e così via. Onde che si riconduca, a mezzo della capacità contributiva, l’obbedienza al dovere di protezione è sicuramente un passo avanti. Anche perché, se vogliamo che siano realmente protetti i diritti del cittadino, occorre che la mancata protezione dello Stato sia “sanzionata” con la mancata percezione dell’imposta. Se invece si desidera che tutto rimanga uguale non c’è che da mantenere a un potere predatorio e inefficiente l’impunità economica.
di Teodoro Klitsche de la Grange