martedì 18 giugno 2024
La campagna elettorale che ha preceduto il voto per il Parlamento europeo è apparsa, seppure con rare ma rilevanti eccezioni, come il riflesso delle più modeste diatribe nazionali. Conclusi gli scrutini, sarebbe fondamentale concentrare l’attenzione anche sui temi economici di maggiore rilievo e di interesse comune per i Paesi membri dell’Unione europea. Uno di questi riguarda il mercato dei capitali.
La nascita di Euronext – promossa inizialmente da Francia, Olanda e Belgio e alla quale l’Italia ha aderito nel 2021, affrancandosi dal London Stock Exchange – è stata accolta da subito come la soluzione per creare un mercato europeo più integrato anche sotto il profilo degli investimenti privati. L’entusiasmo del primo momento, tuttavia, si è presto affievolito. La Consob, nel suo rapporto “Relazione per l’anno 2022” ha reso noto che, nel corso dell’anno citato, “le operazioni direttamente finalizzate o comunque associate al delisting dei titoli azionari oggetto di offerta (o obbligo d’acquisto) sono state 20 (14 nel 2021)”.
Da gennaio di quest’anno altre 16 società hanno lasciato Euronext Italia. Questo fenomeno non è nuovo, ma rimane paradossale se si considera che lo Stivale è il secondo Paese al mondo per risparmio privato, che rappresenta per la Borsa un enorme potenziale inespresso. In altri termini, gli italiani detengono liquidità e non investono. Tale situazione ha un impatto negativo sull’economia. La mancanza di un mercato dei capitali sufficientemente attrattivo, infatti, limita le opportunità di investimento e crescita per le aziende, influendo negativamente sul Pil. Una condizione nota da tempo ma che non accenna a migliorare, nemmeno dall’entrata della Borsa italiana in Euronext.
Per affrontare questo ostacolo, il Governo ha annunciato e adottato alcune misure. Una delle più significative è la creazione di un “Fondo dei fondi” – con una dotazione di 500 milioni di euro da parte della Cassa depositi e prestiti (Cdp) a cui dovrebbero aggiungersene altrettanti da investitori privati – destinato a investire nelle Pmi. Resa nota nel corso del convegno di AssoNext tenutosi il 22 maggio a Montecitorio, questa iniziativa rappresenta un primo passo per incentivare gli investimenti nel mercato italiano.
Per creare un’unione dei capitali veramente efficiente è però necessaria un’azione più determinante, che non riguardi solamente l’Italia, ma che coinvolga Euronext e Bruxelles. Un primo ma importante passo può essere rappresentato dalla proposta del deputato della Lega, Giulio Centemero, di costituire un veicolo pubblico per acquistare titoli di mid e small cap (quindi di società a media e bassa capitalizzazione) sui relativi segmenti della Borsa italiana. Se applicata anche in altri Paesi dell’Unione, questa iniziativa favorirebbe in maniera significativa gli investimenti in Euronext Growth a beneficio di piccole e medie imprese in tutta Europa. Sempre secondo una prospettiva comunitaria, sarebbe opportuno armonizzare i trattamenti fiscali e normativi, in modo da evitare che condizioni specifiche offerte, ad esempio, dall’Olanda (Paese di destinazione di molte aziende che lasciano l’Italia e non solo), rappresentino un ostacolo alla creazione di un mercato dei capitali veramente comune. Oltre a vantaggi fiscali considerevoli, infatti, chi decidesse di puntare su Amsterdam attualmente beneficerebbe del voto plurimo sostanzialmente senza vincoli, quindi della possibilità di mantenere le redini della propria azienda pur detenendone percentuali di capitale minime. Uniformare tali regole richiederebbe di superare numerose resistenze da parte di alcuni Stati, ma il processo di completamento del mercato dei capitali europeo potrebbe giustificare la negoziazione di diritti e doveri comuni ai Paesi membri.
Creare un ambiente efficiente per supportare le imprese quotate è cruciale anche per raggiungere quella che dovrebbe essere l’ambizione naturale di Euronext: divenire una Borsa europea. Nonostante il prefisso, infatti, Euronext non include ancora il mercato più stabile e influente del Continente, ossia la Germania. Un mercato dei capitali con condizioni eque e vantaggiose per gli Stati che ne fanno parte, con (potenzialmente) anche la presenza di Francoforte, sarebbe un passo decisivo per l’Unione. E rappresenterebbe un volano per le aziende sia italiane che europee.
di Riccardo Cantadori