giovedì 30 maggio 2024
Il Governo recentemente aveva promosso una forma di controllo dell’evasione fiscale tramite una misura definita Redditometro, come misuratore del reddito desumibile da un sistema di controllo sui consumi; non è stato possibile capire le strategie di rilevazione dei consumi certamente non a tappeto ma secondo un sistema random. Si è formato un contradditorio che ha portato alla sua sospensione applicativa ma è evidente che il sistema di controllo non solo delle entrate ma anche delle uscite è di fatto un colabrodo, anche perché diventa sempre difficile risalire alle responsabilità delle stesse. Il problema delle entrate e dell’evasione fiscale è centrale nel nostro Paese e si è sempre cercato di porvi rimedio con modalità e forme che non hanno dato i risultati attesi e sperati. Accanto al problema dell’evasione fiscale abbiamo l’evasione delle spese, se si può usare lo stesso termine: troppe spese non controllate per la mancanza di un’idonea regolamentazione e per la difficoltà, anche in questo caso, di risalire alle responsabilità hanno contribuito ad allargare il debito pubblico non meno delle mancate entrate fiscali.
Il controllo va posto sulle entrate ma in uguale misura sulle uscite perché i due processi sono correlati e interdipendenti, frutto di collusioni, mancanza di controllo e di responsabilità di difficile individuazione. Le entrate contribuiscono alle entrate pubbliche e alla diminuzione del debito, quindi chi versa vuole avere una chiara trasparenza delle modalità con cui vengono usate le entrate e questo richiede una doppia responsabilità da parte di chi chiede e paga rispetto a chi usa e come le risorse pubbliche raccolte. Questo è l’eterno conflitto tra il Nord e il Sud con accuse reciproche che in mancanza di un trasparente controllo generano conflitti e scontri perenni. Molti dei processi di riforma, come il Redditometro, si sono distinti per quello che potremmo definire il “miraggio della razionalità”, con l’idea che i processi e le relative responsabilità possano essere definite a priori in maniera razionale, frutto della cultura giuridica che si muove lontano dalla realtà per definire un sistema astrattamente ideale che si scontra con la realtà quando la deve governare. La realtà si muove in un’altra direzione. Nel Paese reale i processi e le relative responsabilità sono spesso condivisi, partecipati e frequentemente non sono attribuibili ai soggetti scelti in maniera corretta come abbiamo sopra delineato.
Un approccio più lucido nella definizione dei processi di riforma deve potersi calare nella realtà avendo comprensione e conoscenza dei processi amministrativi altrimenti diventa una complicazione. È necessario porre attenzione ed enfasi all’introduzione contestuale di strumenti e regole di rendicontazione idonee a dare trasparenza alle scelte politiche, ai risultati ottenuti, alle risorse raccolte e impiegate rispetto ai cittadini, alle altre istituzioni presenti all’interno del Paese, agli attori operanti a livello sovranazionale come l’Unione europea per evitare conflitti e facili repliche. Se vogliamo ragionare in termini di chiarezza e di reciprocità fra differenti soggetti, ha più senso disciplinare il modo in cui ciascuno renderà sostanzialmente conto di ciò che ha fatto anziché il modo in cui ciascuno dovrebbe teoricamente comportarsi.
Il tema del controllo sulle entrate e sulle uscite trova un problema nella indefinita struttura di un Paese che oscilla perennemente tra Stato centrale e/o Stato federale. Questa attuale oscillazione va risolta per non rimanere eternamente nel guado, perché questo rende già di per sé meno efficaci le politiche pubbliche di sviluppo e di risanamento del Paese e i fatti lo dimostrano drammaticamente ogni singolo giorno. Accanto alla definizione di modello di Stato è necessario definire in modo più chiaro anche il ruolo dello Stato nell’economia. Occorre sostenere il progressivo passaggio da Stato che interviene in maniera opaca nell’economia sia come produttore di servizi sia impropriamente come è successo andando a sussidiare o sostenere aree di imprenditorialità privata inefficienti a Stato regolatore capace di regolare lucidamente l’intervento dei privati e il ruolo del mercato. Questi problemi sono oggi sul tavolo irrisolti per motivi diversi che vanno dalle conflittualità politiche e sociali alla mancanza di competenze adeguate sia nel pubblico che nel privato, in grado di sostenere un dialogo costruttivo e non un conflitto di accuse in cui tutti perdono.
Nei casi recenti – Ilva, Itavia – l’indecisione politica ha ritardato o compromesso la definizione di soluzioni che in un mercato difficile e variabile rapidamente erano già più complesse e difficili che in precedenza. È proprio tale indecisione che spinge a costanti richieste di liberalizzazioni, specie nei settori pubblici come la sanità dove il conflitto tra privato e pubblico sta minando la tenuta del sistema sanitario. Anche in questo caso compare il “miraggio della razionalità”. Presuppongono, infatti, che siano presenti nel sistema adeguate capacità di gestione e di regolazione e soprattutto che nelle amministrazioni pubbliche, specie quelle periferiche, e nelle aziende di produzione operanti nei settori oggetto di tali possibili liberalizzazioni vi sia una sufficiente capacità di gestione e rispetto delle norme. Alla fine il quadro che rimane è complesso e confuso dalla scarsa preparazione dei soggetti amministrati e amministratori a sua volta compromessa da un livello di moralità troppo bassa perché ci si possa fidare solo di fare delle norme sperando che siano attuate.
Il sistema socio-economico non sembra chiaramente governabile per un sistema collusivo troppo invadente alimentato da un modello di Stato incapace di risolvere la sua posizione tra Stato centrale o federale. È opinione di chi scrive che il modello di democrazia rappresentativa si realizzi più pienamente nel rispetto delle autonomie. La specificità di ogni territorio devono essere rappresentate direttamente dalle comunità locali le cui istituzioni devono rispondere alle proprie comunità in termini di risultati ottenuti e di attività svolte ma anche questa strada trova, sembra, insuperabili ostacoli creati da una burocrazia delle amministrazioni centrali ossessivamente presa dalle norme da rendere questo percorso una sorta di gara a ostacoli già perdente all’inizio. Anche in questo caso, il “miraggio della razionalità” colpisce ancora.
(*) Professore emerito dell’Università Luigi Bocconi
di Fabrizio Pezzani (*)