venerdì 24 maggio 2024
I più noti indici di borsa mondiali sono il Dow Jones Industrials, lo S&P 500 e il Nasdaq. Ogni indice offre una prospettiva completamente diversa. Lo S&P 500 è orientato al mercato interno e i gestori di fondi e le istituzioni tendono a concentrarsi su questo indice perché offre un catalogo più ampio. Il Nasdaq riflette tipicamente la vendita al dettaglio, spesso ad alto contenuto tecnologico. Nessuno di questi indici raggiunge il picco nello stesso momento. Il Dow Jones Industrials è di gran lunga il più importante perché riflette direttamente i flussi del capitale internazionale. Creato nel 1896 è il più antico tra gli indici statunitensi. Se vuoi capire dove si dirigono i grandi soldi guarda sempre il Dow Jones. I capitali si muovono sempre in anticipo verso la posizione più vantaggiosa a livello globale. Se percepiscono un problema in una regione, fuggono in un’altra. Così avviene da tempo immemorabile: il capitale mondiale vota soprattutto la fiducia nei governi ed è per questo che le valute salgono e scendono. Nella gestione dei fondi internazionali, la prima decisione in gioco è il rischio Paese. I tuoi beni sono al sicuro? Questo è il motivo per cui ad esempio, nessuno investe in Iran. Ma lo si è visto anche all’interno dell’Eurozona con gli spread e oggi lo si vede, all’esterno, col dollaro, rivalutatosi negli ultimi tempi perché la fiducia economica nel resto dell’Occidente è ai minimi storici.
La settimana scorsa il Dow Jones è salito a 40mila da un minimo di 32mila all’inizio anno. Nel giro di due anni dopo qualche oscillazione potrebbe superare 60mila. Rispetto a tutti gli altri indici il Dow tende a raggiungere il massimo per primo perché i grandi soldi si muovono sempre in anticipo alla ricerca un rifugio sicuro e man mano che si sta precipitando verso la guerra, si riverseranno sempre di più negli Usa per unirsi, innanzi di tutto, alle “blue chips” o titoli azionari ad alta capitalizzazione del Dow, mettendo in discussione i titoli di stato. Anche durante la Prima e Seconda guerra mondiale, i capitali si trasferirono nel dollaro, partendo dal presupposto che i carri armati non sarebbero mai sbarcati sulle spiagge della Virginia o della California. Ciò contribuì a sostenere la valuta statunitense anche se non nel lungo termine. Oggi tutte le strade portano di nuovo al biglietto verde soprattutto a causa del pasticcio geopolitico in Ucraina, Medio Oriente e persino Taiwan. Avevamo individuato questa tendenza rialzista già a partire dal 2014 contro coloro che, perennemente miopi riguardo al panorama finanziario globale, continuavano a predicare la morte del dollaro e il tonfo della borsa statunitense, tipo 1929. Nonostante le turbolenze nel corso di questi ultimi anni, il Dow è salito costantemente per oltre un decennio. Le previsioni anticipavano un forte calo nel 2020 a causa del Covid-19, ma non abbiamo mai creduto in un cambiamento nella tendenza a lungo termine. Ora, quegli stessi analisti ribassisti sono pentiti di aver perso l’intero mercato rialzista.
Istituzioni e privati stanno uscendo pian piano dai debiti governativi a tutti i livelli ad eccezione, per il momento, del debito Usa. Il motivo è che questo debito rappresenta le riserve delle banche centrali del mondo e un aumento del debito americano corrisponde ad un aumento delle riserve del sistema bancario mondiale. Poiché le banche centrali desiderano più riserve, c’è sempre una domanda di debito del Tesoro statunitense. Ma attenzione, questa situazione sta cambiando: la Cina ad esempio nel primo trimestre di quest’anno ha venduto una quantità record di titoli del Tesoro (53,3 miliardi di dollari), evidenziando la decisione della nazione asiatica di uscire dal mercato del debito statunitense. L’Amministrazione Biden, trasformando il sistema di pagamento globale Swift, in uno strumento politico sanzionatorio, ha posto fine alla globalizzazione dei mercati finanziari globali e da quel momento il mondo è entrato in un’economia di guerra dove tutte le valute occidentali sono sempre più soggette a intervento politico.
Siamo ormai entrati in un declino globale dove l’economia è sovraccarica di debiti che non possono essere ripagati perché i governi occidentali si sono impegnati in uno schema Ponzi e il castello di carte crollerà quando non riusciranno più a vendere nuovo debito per riscattare quello vecchio. Non c’è assolutamente alcun dubbio quindi, che, dopo che gli investitori obbligazionari sono stati “sterminati” dall’aumento dei tassi di interesse e hanno ritirato i capitali dal mercato obbligazionario, ci stiamo dirigendo verso un gravissimo default del debito sovrano. Si è così sviluppata una ribellione al debito pubblico e un guadagno di fiducia nel settore privato che è esattamente l’opposto di quanto avvenne durante la crisi dei mutui nel 2008 quando le borse crollarono e il capitali si diressero verso le obbligazioni statali. All’epoca, l’onda pubblica di fiducia deprezzò i listini azionari rispetto a quelli obbligazionari. Il Dow perse quasi il trenta per cento. Oggi l’onda privata sta spostando il denaro verso gli asset privati che includono non solo azioni ma oro, argento, arte, proprietà immobiliari, francobolli e monete antiche. Insomma, tutti beni privati. Di conseguenza, i governi perdendo la capacità di indebitarsi perderanno anche potere e questo è il segno distintivo di questa particolare “ondata”. Purtroppo li vedremo diventare sempre più aggressivi perché il sistema sta crollando insieme a loro.
di Gerardo Coco