venerdì 12 aprile 2024
L’esperienza italiana delle holding è molto limitata e spesso assistita da una normativa poco chiara e soggetta a profonde interpretazioni. La necessità di creare una norma ad hoc è stata anche un po’ dovuta alla spinta europea dove già molti Paesi dell’Unione europea hanno leggi stabili ed articolate. Parliamo, per esempio, dell’Olanda, Inghilterra, Malta, Lussemburgo, Lichtenstein, Cipro, solo per fare alcuni nomi. La normativa più stabile e antica è certamente quella del Lussemburgo che già dall’inizio del secolo scorso attirava le holding europee nel proprio Paese. In Europa la Direttiva 90/435/Cee, nota come direttiva madre-figlia, poi rifusa nella Direttiva 2011/96/Ue è certamente l’agevolazione trainante che permette ad una società controllante di percepire i dividendi della controllata con una tassazione ridotta a titolo di imposta. L’articolo 1, comma 67, della legge finanziaria 2008 ha aggiunto all’articolo 27 del Dpr numero 600 del 1973, il comma 3-ter, che stabilisce: “La ritenuta è operata a titolo di imposta e con l’aliquota dell’1,375 per cento (attualmente con l’Ires al 24 per cento 1,20 per cento) sugli utili corrisposti alle società e agli enti soggetti ad un’imposta sul reddito delle società negli Stati membri dell’Unione europea e negli Stati aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo”.
A parte l’esperienza europea l’Italia ha lavorato anche nel mercato domestico aggiungendo l’articolo 162-bis al Tuir che al comma 1 lettera c) disciplina gli adempimenti che una società di partecipazioni non finanziaria e assimilata deve attuare. Da qui si aggiunge la normativa del consolidato fiscale e le innumerevoli circolari anche di Assoholding per chiarire il più possibile gli adempimenti delle holding italiane. Possiamo già percepire come l’Italia sia sbilanciata sugli aspetti tributari tralasciando invece di rafforzare anche la normativa civilistica. C’è poi la trattazione dell’argomento nel Testo unico bancario (articolo 113) ma dal punto di vista del diritto commerciale non esiste il concetto di holding. Oggi la chiarezza è ancora pochissima e si trovano interventi di vari professionisti a volte contrastanti. L’incertezza legislativa e la burocrazia allontanano gli investitori esteri che non considerano mai come opzione lo Stato italiano come sede di una holding. Difatti le uniche società di partecipazione presenti in Italia sono di soci investitori italiani che cercano di costruire un gruppo appoggiandosi ad una normativa con diversi punti oscuri.
I vari Governi italiani che si sono alternati non hanno fatto chiarezza tutt’oggi e spesso l’unico appeal pubblicizzato anche sui media è il risparmio fiscale sulla divisione degli utili. Ma è veramente un appeal? Di fatto no, spostare i dividendi da una srl a un’altra non risolve il problema dei dividendi che sono semplicemente spostati da una “scatola” ad un’altra. Le holding, inoltre, hanno costi di gestione superiori alle normali società in quanto arricchite di ulteriori adempimenti che aggravano il lavoro dei consulenti. La convenienza di aprire una holding in Italia deve passare su altri aspetti di tipo organizzativo e finanziario e di ottimizzazione dei singoli debiti fiscali del gruppo. Il cammino è ancora lungo per arrivare almeno a equiparare i Paesi europei che hanno saputo attrarre capitali esteri.
di Alessandro Cotturri